Che una dottrina della guerra civile manchi oggi del tutto è
generalmente ammesso, senza che questa lacuna sembri preoccupare troppo
giuristi e politologi. Roman Schnur, che già negli anni Ottanta
formulava questa diagnosi, aggiungeva tuttavia che la disattenzione nei
confronti della guerra civile andava di pari passo al progredire della
guerra civile mondiale. A trent'anni di distanza, l'osservazione non ha
perso nulla della sua attualità: mentre sembra oggi venuta meno la
stessa possibilità di distinguere guerra fra Stati e guerra intestina,
gli studiosi competenti continuano a evitare con cura ogni accenno a
una teoria della guerra civile.
È vero che negli ultimi anni, di
fronte alla recrudescenza di guerre che non si potevano definire
internazionali, si sono moltiplicate, soprattutto negli Stati Uniti, le
pubblicazioni concernenti le cosiddette inter nal wars; ma, anche in
questi casi, l'analisi non era orientata all'interpretazione del
fenomeno, ma, secondo una prassi sempre più diffusa, alle condizioni che
rendevano possibile un intervento internazionale. Il paradigma del
consenso, che domina oggi tanto la prassi che la teoria politica, non
sembra compatibile con la seria indagine di un fenomeno che è almeno
altrettanto antico quanto la democrazia occidentale.
Un'analisi
del problema della guerra civile - o stasis - nella Grecia classica non
può non esordire con gli studi di Nicole Loraux, che ha dedicato alla
stasis una serie di articoli e saggi, raccolti nel 1997 nel volume La
Cité divisée. La novità nell'approccio di Loraux è che essa situa
immediatamente il problema nel suo locus specifico, cioè nella relazione
fra l'oikos, la "famiglia" o "casa", e la polis, la "città".
All'inizio della Politica, Aristotele distingue così con cura
l'oikonomos, il "capo di un'impresa", e il despotes, il "capofamiglia",
che si occupano della riproduzione e della conservazione della vita,
dal politico, e critica aspramente coloro che ritengono che la
differenza che li divide sia di quantità e non, piuttosto, di qualità.
Dove "sta" la stasis, qual è il suo luogo proprio? Innanzitutto una
citazione dalle Leggi di Platone: «Il fratello [adelphos, il fratello
consanguineo] che, in una guerra civile, uccide in combattimento il
fratello, sarà considerato puro [catharos], come se avesse ucciso un
nemico [polemios]; lo stesso avverrà per il cittadino che, nelle stesse
condizioni, uccide un altro cittadino e per lo straniero che uccide uno
straniero ». Ma ciò che risulta dal testo della legge proposta
dall'Ateniese nel dialogo platonico non è tanto la connessione fra
stasis e oikos, quanto il fatto che la guerra civile assimila e rende
indecidibili il fratello e il nemico, il dentro e il fuori, la casa e
la città. Nella stasis, l'uccisione di ciò che è più intimo non si
distingue da quella di ciò che è più estraneo. Ciò significa, però,
che la stasis non ha il suo luogo all'interno della casa, ma costituisce
piuttosto una soglia di indifferenza fra oikos e polis, fra parentela
di sangue e cittadinanza. La stasis - questa è la nostra ipotesi - non
ha luogo né nell'oikos né nella polis, né nella famiglia né nella
città: essa costituisce una zona di indifferenza tra lo spazio
impolitico della famiglia e quello politico della città. Trasgredendo
questa soglia, l'oikos si politicizza e, inversamente, la polis si
"economizza", cioè si riduce a oikos. Ciò significa che, nel sistema
della politica greca, la guerra civile funziona come una soglia di
politicizzazione o di depoliticizzazione, attraverso la quale la casa
si eccede in città e la città si depoliticizza in famiglia.
Esiste, nella tradizione del diritto greco, un documento singolare, che
sembra confermare al di là di ogni
dubbio la situazione della guerra
civile come soglia di politicizzazione/depoliticizzazione che abbiamo
appena proposto. Si tratta della legge di Solone, che puniva con
l'atimia (cioè con la perdita dei diritti civili) il cittadino che in
una guerra civile non avesse combattuto per una delle due parti. Non
prendere parte alla guerra civile equivale a essere espulso dalla polis
e confinato nell'oikos, a uscire dalla cittadinanza per essere ridotto
alla condizione impolitica del privato. Questo nesso essenziale fra
stasis e politica è confermato da un'altra istituzione greca:
l'amnistia. Nel 403, dopo la guerra civile in Atene che si concluse con
la sconfitta dell'oligarchia dei Trenta, i democratici vittoriosi,
guidati da Archino, si impegnarono solennemente a «non ricordare in
nessun caso gli eventi passati» cioè a non punire in giudizio i delitti
commessi durante la guerra civile. Commentando questa decisione - che
coincide con l'invenzione dell'amnistia - Aristotele scrive che in
questo modo i democratici «agirono nel modo più politico rispetto alle
sciagure passate ». L'amnistia rispetto alla guerra civile è, cioè, il
comportamento più conforme alla politica.
Aristotele, particoalre dalla Scuola di Atene |
Dal punto di vista del
diritto, la stasis sembra così definita da due interdetti,
perfettamente coerenti fra loro: da una parte, non prendervi parte è
politicamente colpevole, dall'altra, dimenticarla una volta finita è
un dovere politico. In quanto costituisce un paradigma politico
coessenziale alla città, che segna il diventar politico dell'impolitico
(dell'oikos) e il diventar impolitico del politico (della polis), la
stasis non è qualcosa che possa mai essere dimenticato o rimosso: essa è
l'indimenticabile che deve restare sempre possibile nella città e che,
tuttavia, non deve essere ricordato attraverso processi e
risentimenti. Proprio il contrario, cioè, di ciò che la guerra civile
sembra essere per i moderni: cioè qualcosa che si deve cercare di
rendere a tutti i costi impossibile e che deve sempre essere ricordato
attraverso processi e persecuzioni legali.
Giorgio Agamben |
La forma che la guerra civile ha assunto oggi
nella storia mondiale è il terrorismo. Se la diagnosi foucaultiana
della politica moderna come biopolitica è corretta e se corretta è
anche la genealogia che la riconduce a un paradigma
teologico-oikonomico, allora il terrorismo mondiale è la forma che la
guerra civile assume quando la vita come tale diventa la posta in gioco
della politica. Proprio quando la polis si presenta nella figura
rassicurante di un oikos - la "casa Europa", o il mondo come assoluto
spazio della gestione economica globale - allora la stasis, che non può
più situarsi nella soglia fra oikos e polis, diventa il paradigma di
ogni conflitto ed entra nella figura del terrore. Il terrorismo è la
"guerra civile mondiale" che investe di volta in volta questa o quella
zona dello spazio planetario. Non è un caso che il "terrore" abbia
coinciso col momento in cui la vita come tale - la nazione, cioè la
nascita - diventava il principio della sovranità. La sola forma in cui
la vita come tale può essere politicizzata è l'incondizionata
esposizione alla morte, cioè la nuda vita.
(G. Agamben, estratto da Stasis, Bollati Boringhieri, 2015. Testo già pubblicato su La Repubblica 05/02/2015. Cfr http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2015/02/05/quei-legami-pericolosi-tra-polis-e-guerra-civile35.html)