di Laurent van Eynde
In uno
studio relativamente recente, Jocelyn Benoist introduceva il suo
assunto con queste righe audaci: «ridare
il loro colore agli oggetti, questo potrebbe essere, schematicamente
riassunto, il progetto d ogni fenomenologia, trascendentale o meno,
con risultati d'altronde più o meno validi» [1].
Edmund Husserl |
Questa
affermazione si fonda di certo sull'analisi della teoria del tutto e
delle parti sviluppata da Husserl nella III
Ricerca Logica [2].
Tale mereologia
svela in effetti una legalità inerente alla materialità stessa del
contenuto colto nell'atto intenzionale, indipendentemente dalla
modalità della intenzionalità. Husserl mette in luce così un a
priori oggettivo materiale che s'impone alla rappresentazione e
induce a prendere in considerazione la materia dell'oggetto nella sua
costituzione come condizione stessa della sua oggettività. Le
relazioni di dipendenza e indipendenza strutturano l'oggettività
nella sua concretezza – e, tra le relazioni di dipendenza a priori,
Husserl preferisce trattenersi in particolar modo sull'esempio del
colore e della superficie, cosa questa che spiega immediatamente la
formula di Jocelyn Benoist. Ma «ridare il loro colore agli oggetti»
deve di certo intendersi nel senso più generale della riabilitazione
dell'a priori sintetico materiale, così come questa si impone sia
all'empiria stessa che al giudizio – tesi pertanto diretta sia
contro l'empirismo nel senso più stretto, sia contro il kantismo.
Ora, che qui sia in gioco un aspetto prettamente fenomenologico, è
attestato dal fatto che l'interesse di Husserl per questa tematica è
piuttosto vecchio. Sebbene la questione della mereologia sia appena
intravista in Filosofia
dell'Aritmetica,
tramite l'evocazione dei momenti
figurali,
vi si profila comunque l'esigenza di una analisi approfondita che
confermeranno in seguito i lavori del 1894 ovvero sia negli Studi
psicologici per la logica elementare,
sia in occasione della polemica con Kasimir Twardowski sullo statuto
da accordare ai cosiddetti oggetti
intenzionali.
In tal modo la III
Ricerca Logica
appare come termine di una serie già lunga di riflessioni.
A
dire il vero, le Ricerche
Logiche,
sviluppando questo capitolo mereologico, rendono giustizia ad una
questione che assilla l'animo di Husserl da quando questo è
pervenuto alla distinzione tra concreta
e abstracta,
tra gli abstracta
materiali e gli abstracta
formali. Da questo momento tutta la riflessione di Husserl si
articola attorno alla distinzione dei due a priori, materiale e
formale, i quali elevano a legge il polo oggettivo della
intenzionalità. Ma, nel momento in cui la presa in considerazione
dei due a priori oggettivi viene compiuta innanzitutto sullo sfondo
di una preoccupazione costante di una loro articolazione, i
Prolegomeni
del 1900 nel loro sforzo di fondazione della logica come scienza
interamente teorica, porranno una ben netta distinzione verticale tra
l'a priori sintetico materiale e l'a priori analitico formale, che la
distinzione trasversale tra l'a priori del polo soggettivo e l'a
priori oggettivo formale sembra non far altro che rimarcare ancora di
più, a tal punto che essa pare andar di pari passo con il
disinteresse per l'altro a priori oggettivo. Non senza stupore
pertanto scopriamo questo studio dell'a priori sintetico materiale,
il quale costituisce la III
Ricerca Logica
– come se ad essere in gioco fosse una semplice «contropartita
ontologica» alla considerazione molto più ampia e sistematica
dell'a priori formale in rapporto alla significazione.
Ora,
se il tema del polo oggettivo della intenzionalità deve essere
compreso sulla base della problematizzazione della distinzione
verticale dei due a priori, non si può non rimanere interdetti per
il riemergere della questione mereologica molto più posteriormente
in seno all'itinerario husserliano, dopo che i zigzag del suo
pensiero l'avevano condotto a porre l'accento ormai sull'a priori
soggettivo, a spese di quell'idealismo trascendentale che gli è
stato, e gli è ancora a volte, rimproverato. Inoltre il recupero
della teoria del tutto e della parti sembra acquistare ancora un po'
più di peso in forza della sua iscrizione nella prospettiva
genetica, così rilevante, a partire da Logica
Formale e Trascendentale [3]e Meditazioni
Cartesiane [4],
per la nuova fondazione della logica dal punto di vista della sua
genealogia. Così la mereologia riappare in una prospettiva genetica
nel testo messo a punto da Landgrebe, e noto col titolo di Esperienza
e Giudizio,
e questo anche sulla base di questioni simili a quelle affrontate in
Lezioni
sulla Sintesi Passiva.
Qual è allora la portata e il senso di questo recupero, dal momento
che la distinzione verticale tra i due a priori oggettivi non può
più essere studiata sul modello delle RL, ma piuttosto soltanto
nella prospettiva di questa tensione nuova che domina il trattamento
del polo soggettivo dell'intenzionalità a partire da Ideen
II,
e cioè la tensione genealogica e teleologica tra la natura e la
storia?
I
La
III
Ricerca Logica
ha per vocazione di sottolineare la distinzione tra ciò che essa
affronta, a seguito della seconda, come due tipi di a priori, il
doppio a priori che struttura, secondo modalità d'apprensione
differenti, l'empiria del concretum
colto
nell'atto intenzionale. Tale impresa è essenzialmente portata a
compimento dal primo capitolo della terza ricerca. Il trattamento che
Husserl riserva allora alla differenza tra contenuti indipendenti e
dipendenti permette di portare un certo numero di precisazioni
essenziali su ciò che sono i momenti astratti e i frammenti concreti
dell'oggetto individuale. Questa differenza nel rapporto delle parti
al tutto implica la presa in considerazione di una legalità inerente
alla materialità stessa dell'oggetto così come questo si dà. I
rapporti di dipendenza si impongono alla coscienza, la quale non ha
altra scelta che accordarvisi, incapace come è di pensare un ordine
altro delle cose materiali:
si
tratta di differenze intrinseche, che si fondano nell'essenza pura
delle cose, ma che – poiché sussistono e ci sono note – ci
costringono ad asserire che un pensiero che prescinda da esse è
impossibile ovvero che è assurdo un giudizio che non ne tenga conto.
Ciò che noi non possiamo pensare, non può essere, ciò che non può
essere noi non lo possiamo pensare [5].
Pertanto
bisogna riconoscere che, al di là di una maggiore precisione
concettuale, non apprendiamo qualcosa di più sui contenuti concreti
indipendenti e sui contenuti astratti non autonomi rispetto a ciò
che sapevamo già dai testi del 1894 o in relazione alla fine della
seconda ricerca. La mereologia della III
Ricerca Logica
è rilevante dunque meno per lo sforzo che essa consacra all'analisi
al dettaglio dei contenuto concreti e astratti che per il suo
tentativo di specificare questa legalità sintetica, distinguendola
quindi dalla necessità analitica, la cui messa in chiaro è il fine
stesso dell'opera del 1901. In tal modo Husserl insiste da subito
sullo statuto ideale della legalità materiale. Non si tratta
evidentemente «d'una incapacità soggettiva a
non-potersi-rappresentare altrimenti, ma d'una necessità ideale
oggettiva a non-poter-essere altrimenti» [6].
È presente una necessità d'essenza che attesta l'azione di una
legge sui momenti indipendenti ogni volta individuali e, nella loro
esistenza individuale di fatto, per altro contingenti. Husserl
insiste così sulla l'a priorità della legge mereologica materiale,
che egli oppone alla contingenza, ma anche alle leggi e alle regole
empiriche delle scienze della natura. Nel caso della legge pura
d'essenza dell'a priorità materiale «non deve essere implicata
alcuna posizione d'esistenza empirica nella coscienza generale della
legge, come nel caso delle regole e delle leggi empiriche generali» [7].
La legalità mereologica presenta certo un a priori materiale –
essenza pura nella materialità dell'oggetto. La definizione della
parte dipendente come «non-poter-esistere-per-sé», discende allora
dalla sorgente: «c'è una legge d'essenza in base alla quale
l'esistenza di un contenuto della specie pura di questa parte […]
presuppone assolutamente l'esistenza di contenuti di certe specie
corrispondenti» [8].
Ma
Husserl non può fermarsi qui. Egli ha stabilito un a priori in
rapporto alla contingenza dell'oggettività concreta individuale e,
in modo accessorio, in rapporto alla legalità empirica delle leggi
della natura. Egli ha in tal modo preparato l'accesso a una struttura
ontologica determinante per l'attività stessa della coscienza nella
sua relazione trasversale all'oggetto colto intenzionalmente. Il
paragrafo 11 della III
Ricerca Logica
pone una distinzione forse ancora più importante, rilevando
«la
differenza tra queste leggi materiali e le leggi formali o
analitiche» [9]. Husserl si appoggia innanzitutto sulla differenza immediata tra
concetti materiali e formali che presentano un carattere
fondamentalmente differente. In effetti i concetti di qualche cosa,
d'oggetto, di qualità, di relazione, di connessione, di pluralità
si raggruppano attorno all'idea vuota di qualche cosa o di oggetto in
generale e sono in rapporto all'oggetto in generale come assiomi
ontologici formali. Di contro, i concetti come casa, albero, colore
implicano una dimensione concreta in base alla quale essi si ordinano
attorno a grandi categorie materiali – categorie materiali nelle
quali si radicano le ontologie materiali. C'è qui, sottolinea
Husserl, una divisione cardinale tra il formale e il materiale che
spinge a tener conto di questa ambivalenza ontologica della
generalità tra l'a priori analitico formale e l'a priori sintetico
materiale. Husserl propone una definizione in due tempi di questa
ambivalenza ontologica, mirando ancora una volta a separare i due a
priori in maniera principiale [*].
Nel paragrafo 11 una forma di priorità sembra essere concessa all'a
priori sintetico materiale, nella misura in cui la sua definizione
riceve la forma più positiva. Le leggi dell'a priori materiale in
effetti includono, inversamente rispetto alla necessità formale, un
contenuto concreto. La mereologia, in quanto legalità materiale, in
quanto organizzazione di dipendenza, appare insomma più ricca
rispetto alle “semplici” leggi formali. Il contenuto concreto
materiale fa la ricchezza della legge.
Tuttavia
è impossibile disinteressarsi dell'a priori formale – dal momento
che la stessa mereologia può prendere un aspetto formale. In
effetti, se la dipendenza materiale può esprimersi con l'esempio di
un contenuto concreto come «un colore non può esistere senza un
estensione che sia ricoperta d'esso», lo stesso rapporto mereologico
può esprimersi questa volta senza un contenuto materiale concreto,
attraverso la proposizione formale: «un tutto non può esistere
senza parti». L'a priori formale riceve allora un primo tentativo di
definizione positiva, secondo uno dei schemi classici di definizione
dell'analitica, quello del truismo:
«termini correlativi si postulano l'un l'altro reciprocamente e non
possono essere pensati né esistere l'uno senza l'altro» [10].
Tuttavia, il riferimento a questo tipo di definizione ha unicamente
una funzione didattica o propedeutica, dal momento che essa rende più
avvertibile la differenza tra il valore analitico della proposizione
“un tutto non può esistere senza parti” e la proposizione di
dipendenza “non un colore senza estensione”, tanto è vero che il
concetto di colore non include analiticamente l'estensione, così
come materialmente – cioè dal punto di vista del contenuto
concreto – il colore non può mai essere pensato senza
l'estensione.
Tuttavia
è chiaro che questa apparenza di definizione positiva dell'analitica
formale non può ancora bilanciare la ricchezza del contenuto
concreto materiale nella definizione del sintetico, la quale mostra
un reale rapporto di dipendenza. Questa prima definizione, tramite il
truismo quindi, dall'analitica formale immette a una seconda
definizione che sembra voler rovesciare il rapporto dei due a priori,
quasi per eguagliarli meglio, conferendo questa volta una forma
positiva all'analitica formale e una forma negativa al sintetico
materiale. Nel paragrafo 12 in effetti, se Husserl richiama dapprima
l'essenza del contenuto concreto materiale nella formazione della
legalità formale, è innanzitutto per costatarvi anche una
indipendenza nei confronti sia della legalità del concreto materiale
sia della fatticità individuale. La sfera dell'analitica appare
allora non come luogo di indigenza, ma d'indipendenza – in rapporto
al radicamento e alla dipendenza che caratterizzano il sintetico
materiale. Ma la definizione principale non sopraggiunge che in
seguito: le proposizioni analiticamente necessarie sono definite
«come proposizioni che possono formalizzarsi
completamente e
concepirsi come casi particolari o applicazioni empiriche delle leggi
formali o analitiche risultanti legittimamente da questa
formalizzazione» [11].
Ciò che dunque definisce una legge formale è la variabilità delle
materie concrete – là dove invece la legalità materiale è
ridotta a fissità. E Husserl chiarisce così questo nuovo
contrastato approdo:
In
una proposizione analitica deve essere possibile sostituire ogni
materia mantenendo pienamente la forma logica della proposizione, con
la forma vuota qualcosa
e
mettere da parte ogni proposizione esistenziale passando alla forma
giudicativa corrispondente, provvista di una generalità
incondizionata ovvero del carattere di legge [12].
Tale
libera variazione, questa sorta di sradicamento della legge formale
analitica, quale, per esempio, “un tutto non può esistere senza
parti”, s'oppone alla necessità materiale delle dipendenze
mereologiche, la quale non può supportare, essa sola, una tale
formalizzazione. Da qui allora la nuova definizione, questa volta via
negativa, della
necessità sintetica:
Ogni
legge pura, che includa i concetti materiali in modo tale da non
consentire la loro formalizzazione salva veritate (in altri termini,
ogni legge che non è una necessità analitica) è una legge
sintetica a priori [13].
Il
rovesciamento del rapporto di definizione tra i due a priori genera
equilibrio tra di essi. Non v'è in effetti progresso dell'approccio
sistematico nella transizione dal par 1 al par 2. Le definizioni,
prima tramite il contenuto concreto materiale poi mediante la
variabilità, si corrispondono strettamente – è proprio il
contenuto materiale che può variare o meno ed è la variazione
stessa che può o meno vertere sul contenuto materiale. I due
paragrafi aprono infatti all'equilibrio della distinzione – è
questo evidentemente lo strumento più sicuro per operare una
distinzione stretta, cardinale, la quale per di più non minaccia
nessun abbozzo di rapporto gerarchico. In una delle notazioni
conclusive del par 12, Husserl insiste d'altronde sulla finalità
della ricerca, allorché sottolinea che un primo passo è stato fatto
verso una differenziazione sistematica tra le ontologie a priori. Si
deve essere pertanto inclini a credere che questo primo capitolo
della III
Ricerca Logica
raggiunga in tal modo il suo scopo profondo. In termini di leggi
ontologiche si è spinti a credere che l'oggettività si divide per
così dire in due mondi – quello del contenuto materiale e quello
della libertà formale (libertà in relazione ai contenuti,
s'intende). Husserl rincara:
Ciò
che qui si è detto dovrebbe bastare per rendere visibile la
differenza essenziale tra leggi che si fondano nella natura specifica
dei contenuti e a cui si ricollegano i casi di non-indipendenza, e le
leggi analitiche e formali che, fondandosi puramente nelle categorie
formali, sono indifferenti a qualsiasi materia della conoscenza [14]
Due
mondi ontologici si fronteggiano nel cuore stesso del polo oggettivo
dell'intenzionalità. Uno è definito come sfera delle fusioni, delle
dipendenze, l'altro come sfera della libera associazione che è
sottoposta unicamente alla legge di variabilità o formalizzazione.
La differenza cardinale si situa quindi tra un'a priorità che è
quella dell'intra-appartenenza e un'a priorità che è quella del
libero formalismo. Che vi sia in definitiva la possibilità di
sviluppare tutta una teoria analitica pura invece dell'enunciazione
di una legalità pura, all'occorrenza mereologica, è ciò che mostra
nel secondo capitolo l'ampio studio (a cui questo capitolo è
interamente dedicato) della teoria della forme pure degli interi e
delle parti. Tale secondo capitolo conferma innanzitutto che la III
Ricerca Logica
non aveva come solo fine di sviluppare una mereologia materiale
autonoma, ma piuttosto d'organizzare il confronto dei due tipi di a
priori oggettivi, lasciando intendere inoltre che se non può
esservi questione di stabilire una gerarchia tra questi due tipi di a
priori, è comunque senza dubbio necessario inquadrare il valore
teleologico del ruolo giocato dal secondo a priori nella costituzione
dell'oggettività. Ritorneremo su questo ruolo teleologico alla fine
della nostra analisi dei passaggi mereologici di Esperienza
e Giudizio,
ma già da ora possiamo notare che la teleologia della coscienza,
tramite cui essa tende e si orienta verso la formazione di categorie
libere, concetti e leggi, non potrà significare una cancellazione
dell'a priori materiale, ma tutt'al più chiarire l'intenzionalità
nel senso profondo del suo rapporto, così come l'esperienza
concreta, con questa legalità materiale. In ogni caso è evidente
che la distinzione dei due a priori costituisce un lascito non
trascurabile della III
Ricerca Logica
per tutto l'itinerario fenomenologico ulteriore. Pertanto siamo
autorizzati a pensare che la preoccupazione d'articolazione che
animava i testi precedenti non sia affatto spenta, ma che al
contrario la rigidità di questa distinzione nello studio descrittivo
del polo oggettivo dell'intenzionalità sia la condizione di
possibilità di una certa riarticolazione
propriamente
fenomenologica. A questo punto condurre a termine la divisione del
campo delle generalità oggettive comporta la promessa di un lavoro
approfondito sulla possibilità della loro elaborazione ragionata e
non oggettivamente gerarchizzata.
II
All'altra
estremità dell'itinerario fenomenologico husserliano si trova dunque
un ritorno esplicito alla mereologia. Ritorno così esplicito che
d'altronde, al termine di questa nuova analisi dei frammenti e
momenti che costituiscono le parti del tutto, Husserl compara
direttamente le righe che precedono alla IIIRL, quasi ponendo in
esergo il ruolo di complemento che gioca il par 31 di Esperienza
e Giudizio
in rapporto al testo del 1901, ma anche [a sottolineare] l'apporto
originale della fenomenologia genetica e parallelamente
l'insufficienza relativa dell'analisi della III
Ricerca Logica.
Husserl scrive:
mediante
questa descrizione si intende, a partire dal lato soggettivo, quel
che già nella III
Ricerca Logica
(§21) era stato stabilito in modo puramente noematico, ossia che le
parti insostanziali “si compenetrano” in opposizione alle
sostanziali che sono “l'una fuori dell'altra" [15].
In
più, dal fatto non trascurabile, ma sul quale non ci attarderemo,
che la III
Ricerca Logica
è evocata qui nei termini (la correlazione noetico-noematica)
propri di una rilettura, possiamo sottolineare che l'analisi genetica
è da subito situata nel polo soggettivo. Ma anche che pertanto tale
ricentramento non deve comportare alcuna squalificazione delle
riflessioni preliminari. Piuttosto l'analisi soggettiva deve affinare
la comprensione della mereologia – e anche svelarne la verità
profonda. In che modo dunque questa mereologia può pretendere di
essere qualcosa di più di una ripetizione delle riflessioni che
sembravano concluse al termine della III
Ricerca Logica
– e anche alla fine del primo capitolo di questa? O, per porre la
domanda in altri termini, in che modo la fenomenologia genetica può
completare la descrizione della mereologia?
Si
sa che gli anni intercorsi tra la pubblicazione delle Ricerche
Logiche
e Ideen
I
furono occupati dalla ricerca di migliori condizioni in cui poter
operare uno spostamento dell'investigazione fenomenologica dal polo
oggettivo dell'intenzionalità al suo polo soggettivo. Nello sforzo
per una comprensione più precisa e più sistematica dello sviluppo
trasversale dell'intenzionalità dal momento iniziale del coglimento
fino al termine del riempimento, in direzione dunque di questa
oggettività che si rivela essere retta da una doppia legalità,
Husserl mette in campo la struttura noetico-noematica che,
rivelandosi allo sguardo della riduzione fenomenologica, permetterà
di descrivere le leggi di costituzione soggettiva dell'oggettività.
Questa
retrocessione in relazione a l'a priori dell'oggettività non può
condurre a una impasse, contrariamente a ciò che si credeva in Ideen
I,
per quanto riguarda la questione della genesi di questo rapporto
costituente della coscienza nei confronti dell'oggettività. Se la
descrizione dell'a priori soggettivo era all'inizio interamente
diretto verso la chiarificazione del rapporto all'oggetto
intenzionato, come se entrambi, fosse anche sotto l'aspetto della
correlazione noetico-noematica, fossero sempre di fronte, l'analisi
genetica rimette in discussione la coscienza nel suo stesso sviluppo
trasversale. Bisogna rileggere a questo proposito la seconda
appendice a Logica
Formale e Trascendentale:
mentre
l'analisi “statica” è guidata dall'unità dell'oggetto
intenzionato, e così, seguendo il rinvio che le è proprio in quanto
modificazione intenzionale, tende dal modo di datità no chiaro alla
chiarezza, l'analisi intenzionale genetica è indirizzata dalla
connessione totale concreta, in cui si trovano di volta in volta ogni
coscienza e il suo oggetto intenzionale come tale [16].
La
fenomenologia trascendentale, la cui rivendicazione si fa esplicita
simultaneamente alla distinzione delle analisi statica e genetica,
può pervenire alla sua essenza unicamente in questa ricerca della
genesi dell'oggettivazione. È precisamente ciò che spiega Husserl
in quel manoscritto del 1921 intitolato Metodo
Fenonemologico Statico e Genetico:
«un'altra fenomenologia
“costitutiva”, quella genetica, prosegue la storia, la storia
necessaria di questa oggettivazione e, attraverso questa, la storia
dell'oggetto stesso come oggetto di una conoscenza possibile» [17].
Ben inteso, non si tratta qui d'una storia empirica, ma dei
presupposti trascendentali e dunque costitutivi dell'oggettivazione.
L'a priori soggettivo, situato ora in un insieme concreto, esso
stesso temporale, prenderà l'aspetto genetico di un concatenarsi di
motivazioni secondo una legalità trascendentale. Questo concatenarsi
si fonda su un carattere appercettivo
della
coscienza. Nel 1921 Husserl definisce così l'appercezione:
una
coscienza che non ha solo in generale essa stessa coscienza di
qualche cosa, ma che ne ha coscienza nello stesso tempo come qualcosa
di motivante
per
qualcos'altro, che dunque non ha semplicemente qualche cosa di
cosciente, sapendone ancora qualcosa d'altro che non sarebbe incluso
in essa, ma che rinvia a quest'altro in quanto qualcosa che fa parte
d'essa, che è motivato da essa [18].
Il
movimento appercettivo anima tutta la vita intenzionale, dagli strati
più originariamente materiali fino alla costituzione compiuta delle
oggettività più generali. Tale movimento della coscienza è il
luogo stesso della formazione dell'a priori soggettivo poiché, lungi
dall'essere anarchico o cieco, esso è il luogo d'una emergenza delle
appercezioni in ogni momento del flusso secondo delle legalità
universali. La legalità del movimento appercettivo corrisponde all'a
priori soggettivo, la cui presa premetterà da sola d'apprendere i
modi complessi dei rapporti intenzionali dalle oggettività date. Da
qui allora la giustificazione ultima dell'impresa genetica:
è
dunque un compito necessario stabilire le leggi generali e primitive
sotto le quali avviene la formazione dell'appercezione a partire da
appercezioni originarie, derivando in modo sistematico le formazioni
possibili, così da chiarire ogni configurazione data sulla base
della sua origine [19].
L'analisi
genetica intraprende dunque l'indagine sulle origini a priori della
formazione delle oggettività scrutando le leggi di concatenazione
della appercezioni – e, attraverso esse, questa è condotta a
rendere pienamente giustizia al significato fenomenologico
dell'iletica, della materialità e dell'affettività. In effetti, se
le concatenazioni delle motivazioni giocano un ruolo genetico nel
registro dell'attività, lo stesso accade per quello della
ricettività e della passività. In Esperienza
e Giudizio questa
tripartizione è essa stessa diretta dalla prospettiva di una
genealogia della logica che interroga la teoria del giudizio
predicativo. Ora il logico non lavora su delle semplici forme
predicative, ma piuttosto su formazioni che sono caratterizzate da
una pretesa alla conoscenza. Da questo punto di vista una autentica
fondazione della logica deve prendere in considerazione una doppia
problematica: da una parte, quella delle forme stesse e delle loro
leggi, dall'altra quella delle condizioni soggettive dell'accesso
all'evidenza che implica la pretesa alla conoscenza. Ora, se il
giudizio mira alla conoscenza e dunque si dirige per forza di cose su
ciò che è, su ciò che si può chiamare in modo molto generale
l'essente, esso deve godere di un dato preliminare. Il giudizio di
conoscenza compiuto – il giudizio evidente – si rapporta allora a
un pre-dato il cui modo di pre-datità è esso stesso evidente. Può
trattarsi soltanto del «dato degli oggetti nella loro ipseità», il
dato e la presenza alla coscienza di un oggetto in quanto egli è
“qui in se stesso”, effettivamente presente in carne ed ossa. Da
qui il privilegio accordato alla percezione esterna e che verrà
confermato per tutta la durata dell'indagine. La vera questione della
genealogia della logica è quindi quella della fondazione
dell'evidenza giudicativa nell'evidenza oggettiva. Per questo bisogna
innanzitutto cercare i giudizi più immediati vertenti su dei
sostrati originari, i quali precisamente non sono affatto sospetti
d'essere già il risultato d'un giudizio anteriore depositato in
forme categoriali. Il dato evidente di un sostrato ultimo o
originario deve essere un dato primario nell'evidenza della sua
ipseità. Ora
ciò
implica che un tale sostrato non possa essere un oggetto individuale.
Perché ogni generalità e pluralità, anche la più primitiva,
rinvia già all'atto di prendere assieme molteplici individui e,
attraverso questo, a una attività logica più o meno primitiva,
nella quale gli oggetti presi insieme ricevono già una formazione
categoriale, che conferisce loro lo statuto di una generalità. [La
genealogia della logica va dunque raccordata all'esperienza
dell'oggetto individuale]: i
sostrati originari sono dunque degli individui, degli oggetti
individuali;
e ogni giudizio pensabile si riferisce in
modo finale
a degli oggetti individuali, sebbene la mediazione che esso instaura
possa essere molto diversa [20].
Tuttavia
questo oggetto individuale non deve essere soltanto preso come dato
certo della sua ipseità, ma anche come certezza che possa essere
modalizzato. È precisamente questa certezza dell'oggetto individuale
e della sua modalizzazione ad essere al centro dei momenti iniziali
dell'analisi genetica, in cui viene alla luce la ripresa della
mereologia. Il terzo momento determinante l'inizio dell'analisi
genetica è la necessaria co-donazione dell'orizzonte all'oggetto
individuale. In effetti, l'oggetto individuale è presente
preliminarmente al movimento di conoscenza e questa presenza
preliminare affetta la coscienza. L'affezione precede la presa. Ora,
osserva Husserl, l'affezione «non consiste nel rivolgersi a un
oggetto isolato singolare. Avere sotto forma d'affezione significa:
staccarsi da un contorno che è sempre co-presente, attirare a sé
l'interesse, eventualmente l'interesse di conoscere» [21].
Lo sfondo dello studio genetico è ormai ben piantato con i suoi tre
aspetti fondamentali dell'esperienza ante-predicativa che sono la
certezza del darsi dell'oggetto, la modalizzazione di questa certezza
e infine l'inerenza dell'orizzonte alla struttura dell'esperienza.
L'esperienza ante-predicativa, studiata sotto la sua forma
strettamente passiva (più brevemente) e sotto la sua forma ricettiva
(più a lungo), rivela un certo numero di strutture generali che
mettono in scena la tendenza dell'Io. Si scopre, a partire dal
livello della ricettività, l'essere-diretto del soggetto
sull'oggetto. Il rapporto all'oggetto è retto dalla tendenza, la
forza tendenziale della coscienza che si risveglia: «l'instaurarsi
dell'orientazione-verso, del fare attenzione all'essente, mette in
campo una condotta tendenziale, una presa di mira» [22].
Ed è precisamente in questa condotta tendenziale che nasce la
propensione alla conoscenza e, tramite questa, all'oggettivazione.
NOTE
NOTE
1, AAVV, Recherches husserliennes,
vol 3, p.3
2. E. HUSSERL, Ricerche logiche,
ed it a cura di Giovanni Piana, NET, Milano, 1988. Da ora
sempre abbreviata in RL, preceduta dal numero romano indicante la
ricerca a cui si fa riferimento e seguita dal numero di pagina
dell'edizione italiana.
3. E. HUSSERL, Logica
Formale e Trascendentale,
trad di Guido Davide Neri, Laterza, Roma-Bari, 1966. Da
ora sempre abbreviata in LFT, seguita dal numero di pagina.
4. E. HUSSERL, Meditazioni Cartesiane, ed it di R. Cristin,
Bompiani, Milano, 1988. Da ora sempre abbreviata in MC, seguita dal
numero di pagina.
5. IIIRL, p. 30
6. Ibid.
7. Ivi, p. 33.
8. Ivi, p. 31
9. Ivi, p. 32.
*
principielle
10. IIIRL, 34.
11. Ivi, p. 41.
12. IIIRL, p. 45.
13. Ibid.
14. Ivi, p. 45-46.
15. E. HUSSERL, Esperienza e giudizio, ed
it a cura di Enzo Paci e Filippo Costa, ed Silva, Milano 1960, p.
155. Da ora sempre abbreviato in EG, seguito dal numero di pagina.
16. LFT, p. 334.
17. Le
edizioni italiana e francese per quanto riguarda quest'opera,
differiscono completamente; indicheremo pertanto il numero di pagina
della edizione francese consultata da Van Eynde: De
la synthèse passive.
Logique
transcendantale et constitutions originaires,
p. 330.
18. Ivi,
325.
19. Ivi, 324.
20. EG, p. 18.
21. Ivi, p. 20.
22. Ibidem.