Un ritratto di Edmund Husserl |
la
fenomenologia così costruita è meramente statica,
le sue descrizioni sono analoghe a quelle che fa il naturalista, le
quali studiano i tipi singoli per porli in un generale ordinamento
sistematico. Rimangono ancora estranei i problemi della genesi
universale ed estranea rimane la struttura genetica dell'io preso
nella sua universalità, struttura che va oltre la sua formazione
temporale: tutto ciò appartiene a un livello superiore [1].
La
fenomenologia materiale è senza alcun dubbio il luogo in cui la
tentazione della storia naturale è più forte, fino a rischiare di
soccombere alla tentazione di una tassonomia infinita. Che non si
possa fare un tale rimprovero all'ontologia materiale della III
Ricerca Logica
ci sembra evidente, tuttavia la fenomenologia trascendentale non
poteva premunirsi meglio a sua volta contro questo pericolo che
tramite la genesi legale delle oggettività. La storia genetica
dell'oggettivazione libera l'accesso all'ultimo fondamento
trascendentale dell'apparire legale dell'oggetto nella sua
materialità stessa, e questo fondamento ignora sempre la storia
naturale. Ma come avviene allora la transizione dall'oggetto
individuale – dal sostrato del giudizio nella sfera predicativa –
ai frammenti e momenti? Ricordiamo che Husserl, quando poneva
l'oggetto individuale al centro dell'indagine genetica, intendeva
rendere giustizia sia alla certezza del darsi dell'individuo, sia
alla modalizzazione di questa certezza. Così, nelle ultime pagine
consacrate «alle strutture generali della ricettività», il par 21
di Esperienza
e Giudizio analizza
l'apparizione delle modalità come provenienti genealogicamente
dall'impedimento delle tendenze, cioè dal corso naturale della
coscienza appercettiva nella contemplazione percettiva. Questa
semplice modalizzazione del prendere di mira nella esperienza
ante-predicativa, in cui la coscienza appercettiva è completamente
votata al movimento della sua tendenza, costituisce già l'origine
nella ricettività di concetti logici tanto fondamentali come la
negazione o la possibilità. Ma ciò che soprattutto importa qui dal
punto di vista della mereologia è che la modalizzazione si produce
come «divenire incerto dell'oggetto nel suo essere così o così».
Tutto il corso tendenziale della contemplazione non è frustrato e,
d'ordinario, solo alcuni momenti (che noi intendiamo qui in
un'accezione ampia) della contemplazione sono impediti. «In una
parola, questi avatars
della
modalizzazione
presuppongono un elemento d'es-plicazione [Explikation]
dell'oggetto percepito». L'interesse dalla contemplazione e, in
ultimo, della conoscenza, è dunque un movimento di coscienza che
passa senza sosta da una presa semplice del dato individuale alla sua
spiegazione, cioè a una presa (es-plicativa, questa volta) delle
parti e dei momenti dell'oggetto. In tal modo bisogna distinguere tre
momenti nella percezione contemplativa dell'Io diretto sull'oggetto
individuale:
1.
la presa semplice, che precede ogni es-plicazione e nella quale
l'oggetto è colto come un tutto – si tratta del primo grado
dell'interesse non ostacolato;
2.
la contemplazione es-plicativa dell'oggetto: ogni oggetto individuale
percepito è sempre già preso in un orizzonte di familiarità che
dirige le attese della coscienza appercettiva sia per quanto riguarda
l'esser-così dell'oggetto, sia per quanto riguarda le sue qualità,
prese qui in un senso molto generale – si tratta allora di un
percorso orientato dall'orizzonte interno dell'oggetto, dal sostrato;
3.
infine l'interesse percettivo può anche prendere in conto
tematicamente gli altri oggetti co-dati con l'individuo
affettivamente originario – si tratta in questo caso di scrutare
l'orizzonte esterno dell'oggetto.
Il
grado del percorso percettivo, che deve qui attirare la nostra
attenzione, è quello della es-plicazione dell'orizzonte interno,
quello in cui «l'es-plicazione è una orientazione dell'interesse
percettivo nel senso della penetrazione nell'orizzonte interno
dell'oggetto», poiché è qui che si gioca l'emergenza
ante-predicativa delle parti dell'intero. Ora è sempre
l'appercezione della coscienza ad essere richiesta qui
dall'apparizione, poiché l'orizzonte interno «è immediatamente
co-risvegliato dal darsi dell'oggetto». L'oggetto si dà
immediatamente con un carattere di familiarità che crea le attese
così come le conduce. Pertanto, «ammettendo il caso di un esercizio
non ostacolato dell'interesse percettivo, l'Io non può mantenersi a
lungo in una contemplazione e in una presa semplice; infatti, la
tendenza inerente alla contemplazione dell'oggetto lo spinge presto
al di là» [2].
Veniamo così a distinguere naturalmente il sostrato e le
determinazioni: il sostrato è es-plicato nella misura in cui lo
sguardo va oltre la presa semplice del tutto per cogliere le
determinazioni interne dell'oggetto, ma in maniera tale che il
sostrato permanga comunque sotto presa. È soltanto a questa
condizione che la presa della determinazione non è una nuova presa
semplice, ma piuttosto una presa della determinazione che arricchisce
la conoscenza del sostrato. La presa es-plicativa è una presa
duplice in cui entra in gioco una sintesi di coincidenza del tutto
specifica:
il
processo dell'esplicazione nella sua originarietà è quello in cui
un oggetto dato originaliter vien portato all'intuizione esplicante.
L'analisi della sua struttura deve renderci chiaro come si compia in
esso una doppia
formazione di senso:
«oggetto come sostrato» e «determinazione α...». L'analisi devi
qui mostrare come si compie questa formazione di senso in forma di un
processo che si svolge per tratti separati ed attraverso il quale pur
si estende continuamente una unità
di coincidenza,
che è coincidenza di uno speciale genere appartenente esclusivamente
a queste forme di senso [3].
Lo
scivolamento dalla presa del sostrato alla presa della determinazione
avviene in modo che la presa della determinazione non sia identica a
quella del sostrato, senza tuttavia esserne del tutto differente. La
sintesi di coincidenza es-plicativa deve la sua specificità al fatto
che essa lega strettamente il continuo e il discreto. Questa
specificità definisce precisamente le condizioni genetiche
dell'emergere di una coscienza del tutto e delle parti.
Il
corso della percezione è quindi un corso d'es-plicazione slittante
senza sosta dall'intero alle parti, secondo un moto appercettivo
della coscienza che si iscrive nell'orizzonte della donazione. Ma il
fatto di rilanciare l'es-plicazione a partire dall'orizzonte comporta
necessariamente una ramificazione dell'es-plicazione: piuttosto che
portare alla luce continuamente le differenti determinazioni di uno
stesso sostrato, la penetrazione nell'orizzonte interno dell'oggetto
giunge a cogliere le determinazioni di una determinazione, cioè la
prima determinazione “a” del sostrato S diventa un nuovo sostrato
per una es-plicazione che farà emergere la determinazione “x” da
“a” già stratificato. Tale acquisizione di indipendenza, tale
Verselbständigung,
minaccia allora di relativizzare la distinzione tra il sostrato e la
determinazione. Una determinazione può divenire sostrato (per
ramificazione dell'es-plicazione) e un sostrato può diventare
determinazione (se l'oggetto è collegato con altri oggetti e se la
collezione diventa un tutto suscettibile a sua volta di
es-plicazione). Va da sé che nello stesso modo una collezione può
colpirci come un tutto, sebbene essa sia composta d'oggetti
individuali. Se dunque il rapporto sostrato-determinazione è
inerente al corso dell'esperienza, richiesta come es-plicativa dalla
ricettività, il rapporto degli interi e delle parti, che, nelle RL,
era da subito studiato come formazione di legalità mediante il
ricorso a una opposizione cardinale tra dipendenza e indipendenza dei
contenuti, si rivela qui in ogni caso essere il luogo dell'arbitrio
di un percorso apparentemente aleatorio della coscienza. Ora
l'apporto essenziale della fenomenologia genetica su questa questione
risiede nel fatto che essa va a rivelare la legalità nel luogo
stesso del movimento, apparentemente arbitrario, delle
sostantificazioni e delle determinazioni:
ma
tosto che mettiamo in questione in senso genetico l'operare
dell'esperienza da cui s'origina in evidenza originaria la
distinzione di sostrato e determinazione, questa libera possibilità
non vale più. V'è un limite alla relativizzazione di quella
differenza che nel corso dell'esperienza procede all'infinito, e si
dovrà distinguere tra sostrato
e determinazione in senso assoluto e in senso relativo [4]
Nella
genesi stessa viene a formarsi la legalità mereologica, non più
come un a priori oggettivo compreso nel suo statuto semplicemente
noematico, ma piuttosto nell'a priori soggettivo, come già
l'annunciava il passaggio di Esperienza
e Giudizio che
si rifaceva alla III
Ricerca Logica.
Se
un sostrato può nascere da una sostratizzazione, ciò non è però
vero per tutti i sostrati. La sostratizzazione di una determinazione
suppone precisamente che essa abbia innanzitutto le determinazione di
un sostrato – di un sostrato che essa quindi suppone. E così
noi
veniamo perciò in conclusione e necessariamente a sostrati che non
sono sorti da una sostratizzazione. Ad essi spetta sotto questo
riguardo il nome di sostrati assoluti [5].
Non
si dà una segmentazione all'infinito dell'esperienza. Il sostrato
assoluto è ciò che è dato come direttamente e immediatamente
es-plicabile, senza dunque che sia stato necessaria una es-plicazione
e una sostratizzazione preliminare. Siamo così arrivati all'origine
del processo d'es-plicazione e quindi del rapporto tra interi e
parti, origine ove regnano in una maniera privilegiata, ancora una
volta, gli oggetti individuali della percezione esterna:
assolutamente
coglibili e perciò sostrati in senso eminente sono più di tutti gli
oggetti individuali della percezione sensibile esterna, quindi i
corpi. Qui sta uno dei primati decisivi della percezione esterna la
quale dà in anticipo i sostrati più originari delle attività
esperienti e poi predicativamente esplicati [6].
La
genesi del tutto e delle parti prende corpo con la ricettività della
coscienza in una forma di sintesi passiva contestuale al darsi
sensibile.
Pertanto
il sostrato assoluto può divenire esso stesso una determinazione
allorché l'oggetto individuale è raccordato ad un intero plurale
che è immediatamente dimostrato come unità e vale quindi come
sostrato assoluto. Me il sostrato assoluto individuale, che vale qui
come determinazione, non rimane tuttavia un sostrato assoluto, poiché
esso è sempre afferrabile immediatamente e senza es-plicazione
preliminare se richiede in forma d'affezione lo sguardo dell'Io. La
conclusione allora è duplice: in primis, le determinazioni di un
sostrato assoluto non sono necessariamente determinazioni assolute;
in secundis, «i
sostrati assoluti si dividono […] in sostrati che sono unità
costitutive delle pluralità situate in pluralità e in sostrati che
sono essi stessi pluralità» [7].
Il
primo punto implica in modo particolare una differenziazione non
formale, ma materiale tra le determinazioni assolute e le
determinazioni relative, poiché non basta essere la determinazione
di un sostrato assoluto per essere una determinazione assoluta. Ogni
determinazione non è solo per questo una determinazione relativa. Un
sostrato assoluto, e ciò è evidente per i sostrati assoluti
individuali, possiede delle determinazioni assolute, le quali non si
definiscono per la loro appartenenza sotto forma es-plicatrice al
sostrato assoluto, ma per uno statuto materiale preciso. Husserl
scrive:
ma
è anche chiaro che ogni sostrato assoluto ha delle determinazioni
che non sono sostrati assoluti. Le ultime unità, che nel mondo dei
corpi sono le ultime unità corporee, hanno tutte delle
determinazioni che sono originariamente esperibili solo come delle
determinazioni, le quali perciò possono divenire dei sostrati
soltanto relativi [8].
Le
determinazioni assolute sono quelle che non possono essere colte come
essenti che al prezzo di una sostratizzazione preliminare. D'altronde
va notato che i sostrati assoluti plurali hanno anch'essi, oltre le
determinazioni relative che sono i sostrati assoluti individuali
connessi e le determinazioni relative proprie di queste, delle
determinazioni che intervengono unicamente in quanto tali: «sono
chiaramente quelle determinazioni che danno unità alla pluralità in
quanto pluralità; sono le determinazioni di configurazione o di
complessione nel senso più ampio» [9].
L'importante
qui è che Husserl perviene a ritrovare le categoria di dipendenza e
indipendenza: in tal senso i sostrati assoluti sono indipendenti, le
determinazioni assolute dipendenti. I paragrafi da 30 a 32 di
Esperienza
e Giudizio affinano
l'analisi. Il concetto di tutto è definito molto esattamente, in una
comprensione stretta, come sostrato originario che «ha delle
determinazioni (ciò che noi chiamiamo parti in senso lato) che sono
sia indipendenti sia dipendenti» [10],
anche se un concetto ancora più preciso di tutto comprenderà
unicamente i sostrati assoluti segmentabili in parti indipendenti. La
comprensione del rapporto del tutto alle sue parti implica allora la
distinzione esplicita dei frammenti e dei momenti: «la forma
“determinazione” non è essenziale ai frammenti e ai membri degli
insiemi, la forma “sostrato” ai momenti. Quest'ultimi non
ricevono la forma sostrato che per l'attività particolare che li
rende indipendenti» [11].
Troviamo qui una legge materiale che s'impone nella genesi
dell'oggettivazione alle avventure appercettive della coscienza. In
effetti, l'indipendenza del frammento e la dipendenza del momento
dipendono dalle origini costitutive contrastate nel corso
dell'es-plicazione del sostrato-tutto. Le coscienza non sceglie
arbitrariamente, né si abbandona ad un corso anarchico per trovarsi
di fronte rispettivamente a dei frammenti e a dei momenti. Le parti
generali (frammenti e momenti) sono prese nel corso
dell'es-plicazione, ma
questa,
col suo dinamismo e le sue attese, non può nulla contro un evidenza
ricettiva. In effetti, allorché nei due casi, dunque in ogni
coincidenza es-plicativa, ovunque vi sia dissociazione d'una parte
dal tutto, vi è qualche cosa che è dissociato, e qualche cosa che
avanza, non dissociato dal tutto, la differenziazione dei modi di
datità dell'es-plicato s'impone tuttavia alla coscienza
es-plicitante, poiché il modo secondo il quale il residuo non
es-plicato è presente alla coscienza è del tutto difforme
nell'es-plicazione in frammenti rispetto all'es-plicazione in momenti
dipendenti. Una volta è un colore che è colto sull'oggetto, per
esempio il rosso del candeliere di rame; un'altra volta un frammento
del candeliere, per esempio il suo piedistallo. Se un frammento s'è
distaccato, il residuo non es-plicato gli resta esterno, e si rileva
in rapporto ad esso, sebbene sia in connessione con quello; quanto al
momento dipendente, nel nostro esempio, il colore rosso che ricopre
per così dire la coppa intera, non lascia nulla che si rilevi in
rapporto ad essa come esterno.
È
nel seguito di queste righe che Husserl evoca la III
Ricerca Logica,
e a giusto titolo, perché qui noi ritroviamo la stessa tematica
della fusione dei contenuti materiali che definiscono la dipendenza
degli insiemi esplicati, alla quale s'accorda qui la coscienza come
alla legge del proprio percorso appercettivo. Si tratta questa volta
di un a priori soggettivo, perché è la costituzione dello strato
iletico dell'esperienza della coscienza, nel registro della passività
e della ricettività, che si rivela intimamente ordinato nell'a
priorità della donazione. Se la considerazione è in fondo la
medesima della III
Ricerca Logica
e anche, per quanto riguarda il contenuto, dei testi del 1894, si può
senz'altro dire che la fenomenologia genetica ne dà ragione a
partire dalla descrizione delle leggi implacabili, ma anche
generatrici, del polo soggettivo dell'intenzionalità – la genesi
dell'oggettivazione, a partire dagli strati passivi dell'esperienza,
s'accorda a una legalità materiale che regge il rapporto
es-plicativo del tutto con le parti.
III
Resta
ora da porre la questione dello statuto esatto di questa legalità
iletica del polo soggettivo in rapporto alla legalità formale di
cui, non va assolutamente dimenticato, la genealogia rimane il motivo
centrale di Esperienza
e Giudizio.
Tutta le genesi passiva e ricettiva esposta nella prima sezione di
Esperienza
e Giudizio tende
a mostrare l'origine nella
sfera ante-predicativa dell'esperienza
delle categorie e dei concetti logici, di cui si servirà in ultimo
la logica formale nella costituzione delle oggettività generali e
nella istituzione delle forme valide del giudizio. Ora, questa
nascita del logico sopravviene nel punto stesso della formazione di
una legalità strettamente materiale quale quella della mereologia
nella sua fondazione a priori soggettiva. Così, noi abbiamo già
richiamato il fatto che i concetti di negazione e di possibilità
trovano la loro origine, secondo Husserl, nell'ante-predicativo, più
precisamente nella modalizzazione delle attese appercettive
dell'interesse della conoscenza nascente – dunque nella
modalizzazione in corso della tendenza all'oggettivazione. Abbiamo
ricordato anche che questa modalizzazione implica il passaggio dalla
presa semplice alla presa es-plicitante, cioè la messa in luce di
determinazioni che partecipano alla forza affettiva dell'oggetto
individuale in questione e che ne arricchiscono la conoscenza in
quanto sostrato. Ma è soltanto nel modo ostacolato
dell'es-plicazione e nella delusione delle attese che i concetti
fondamentali della logica vedono la luce. L'es-plicazione stessa, in
questa sintesi di coincidenza della determinazione e del sostrato,
offre per così dire un suolo alle categoria logiche. A proposito
dell'unità di coincidenza particolare della presa es-plicitante,
Husserl afferma – e si tratta di passi celebri:
possiamo
anche dire che devesi mostrare il processo di quella evidenza, nel
quale viene originariamente intuito [erschaut]
qualcosa come un oggetto-sostrato
come tale,
sostrato di qualcosa come delle determianzioni. Ci troviamo qui al
punto
d'origine della prima delle cosiddette categorie logiche.
In senso proprio non si può parlare di categorie logiche se non
nella sfera del giudizio predicativo, e cioè come di parti di
determinazioni appartenenti necessariamente alla forma dei giudizi
predicativi possibili. Ma tutte le categorie e le forme categoriali
che ivi compaionosi fondano sulle sintesi antepredicative e hanno in
queste la loro origine [12].
Che
la genealogia della logica conduca a scoprire la sua fondazione fin
nelle sintesi passive rappresenta un acquisizione propria della
fenomenologia genetica. Ma proprio per questo la genealogia non
conduce ad una riarticolazione della logica sulla mereologia – o,
per dirlo nei termini della III
Ricerca Logica,
questa genealogia, che risale fino allo strato iletico
dell'esperienza, non scopre l'origine dell'a priori oggettivo formale
nell'a priori oggettivo materiale, e questo anche dopo il
ricentramento dell'indagine sul sul polo soggettivo
dell'intenzionalità. Si potrebbe dire che la mereologia, con ciò
che essa implica per quanto riguarda la legalità della donazione
stessa, costeggi
l'emergenza
delle categorie logiche in un'esperienza ante-predicativa
dell'oggetto individuale, ma cercheremmo in vano qui un indice di
gerarchizzazione tra i due tipi di generalità. Entrambi sembrano
nascere immediatamente dalle sintesi della passività
nell'orientazione-verso l'oggetto individuale. Senza alcun dubbio
essi hanno una radice comune, ma manifestamente senza mai rischiare
di confondersi o di riassorbirsi l'uno nell'altro. La salda
distinzione tra generalità materiali e generalità formali sarà
d'altronde ripetuta nello studio, a proposito della genesi attiva
questa
volta, della costituzione predicativa delle generalità. Il par 85
mira in effetti a richiamare la differenza importante tra generalità
materiali
e generalità
formali.
Quando Husserl sceglie l'esempio “rosso è differente da blu”, lo
fa per lasciar vedere una giustapposizione
delle due generalità nella predicazione stessa, piuttosto che per
sorprendervi una disposizione graduale che sarebbe la conseguenza
genetica di una gerarchizzazione nella genesi passiva:
in
questa frase, accanto ai concetti materiali di rosso e di azzurro, si
esprimono anche delle forme pure, nel parlare di diversità e
nell'intera forma della proposizione, nella forma di soggetto, di
predicato e di complemento. Concetti come eguaglianza, diversità,
unità, molteplicità, insieme, intero, parti, oggetto, proprietà,
in breve tutti i
così detti concetti logici puri e
tutti i concetti che si possono e si debbono esprimere nella
molteplicità delle forme di contesti e, linguisticamente, delle
forme di espressioni, sono puri
concetti di forma,
universalità formali, quando noi lasciamo indeterminato nelle
proposizioni tutto ciò che è materiale [13].
Ma
questo allora vuol dire che la fenomenologia genetica, se perviene a
una fondazione soggettiva delle leggi mereologiche, sfocia in ogni
caso su una medesima distinzione cardinale dei due a priori
oggettivi, sintetico materiale e analitico formale, senza alcuna
altra articolazione se non il riconoscimento di una origine comune
nell'esperienza ante-predicativa? Ancora una volta ci sembra che la
separazione netta dei due a priori nelle Ricerche
Logiche
non fosse sprovvista della promessa di una riarticolazione, una
promessa che l'opera del 1901 non era in grado di assumersi in toto
(e comunque non era suo compito). Che non ci sia articolazione nel
polo oggettivo dell'intenzionalità ci sembra che debba essere dato
per acquisito; ma tuttavia, la specificità genetica dell'analisi
soggettiva propone un abbozzo di soluzione, confermando in tal modo
che la fenomenologia genetica ha soprattutto per scopo di completare
e ultimare, a partire dalla comprensione dell'a priori soggettivo,
l'impresa fenomenologica nel suo complesso così come essa era stata
iniziata con le Ricerche
Logiche.
In
effetti la genealogia della logica si trova presa nel movimento
definito dal suo opposto: la teleologia che dirige l'a priori
soggettivo. Lo sviluppo del processo intenzionale verso una
oggettivazione che preparerebbe l'accesso a una comprensione
riflessiva sempre più acuta del suolo e dell'orizzonte della
coscienza, della sua necessità e della sua libertà, sviluppando un
mondo della cultura inseparabile da una universalizzazione e da una
formalizzazione della vita della coscienza e delle sue prestazioni
signitive, mirando quindi alla costituzione di oggettività più
alte, le più generali, costruisce una storia articolando le sue
motivazioni. Allora la genesi è genesi di questo telos,
e non ricerca di una origine tanto astratta quanto può esserlo una
natura disumanizzata, “decoscienzizzata”. Tutto in Esperienza
e Giudizio segna
la pregnanza di questa prospettiva teleologica sulla genealogia
stessa, sulla Rückfrage.
Paradossalmente, l'archeologia
è
ricerca
del
telos.
Così il disporsi graduale dei diversi livelli della genesi passiva
testimonia l'esistenza di questo movimento ascendente che dirige in
definitiva l'analisi genetica stessa. Husserl insiste a più riprese
sul concetto di mescolanza, la Verflechtung
dei diversi livelli, dei differenti strati o tappe della genesi
nell'antipredicativo. È in effetti impossibile tracciare una
frontiera precisa tra la passività o la ricettività, a tal punto
che Husserl sottolinea il carattere fondamentalmente astratto di
questa distinzione, giustificata da esigenze meramente
metodologiche. Così, il trattamento delle strutture della passività
pura, estremamente breve, lascia vedere che, allorché le sue
strutture rappresentano il livello dell'origine e del fondamento
primo degli atti di oggettivazione “a venire”, esse sono in ogni
caso “avallate” dal livello ulteriore, quello della ricettività.
Ma soprattutto la ricettività è presa essa stessa tra passività e
attività. La ricettività, suggerisce Husserl più volte, è
l'istanza della
passività nell'attività.
Se queste distinzioni sono necessarie nel dettaglio dell'analisi
genetica, la loro articolazione ultima dimostra soprattutto che esse
sono trascinate verso l'alto o, per dirlo diversamente, che esse
prendono senso unicamente in forza della spontaneità che esse
annunciano. Questa era d'altronde una delle tesi difese da Denise
Souche-Dagues [14] nel suo studio su Lo
sviluppo dell'intenzionalità nella fenomenologia husserliana.
Così scriveva: «gli strattoni a cui è sottoposta la ricettività,
la cui descrizione è incastrata tra quella della passività pura e
quella della spontaneità, esprimono il carattere teleologico della
genesi che è praticata» [15].
Non vi sono genealogia e archeologia senza una teleologia. Scoprire
strutture preliminari alla produzione spontanea ha senso soltanto se
queste strutture annunciano già – e si confondono con questo scopo
– l'avvento dello spirito e delle sue produzioni di senso, e dunque
se sono descritti, in questa prospettiva, livelli anteriori. È a
questa sola condizione che questi ultimi sono suscettibili di
rivelare qualcosa della motivazione profonda della coscienza fin
nella costituzione delle oggettività superiori, ed è d'altronde a
questa sola condizione che passività e attività possono realmente
articolarsi. Così l'analisi genetica può sfociare su qualcos'altro
rispetto alla messa in esergo delle sottostrutture in fin dei conti
estranee a ciò che esse sostengono.
La
genesi va delineata sempre muovendo dal “telos”
a cui ci approssimiamo.
L'equilibrio tra genealogia e teleologia è un equilibrio dinamico
che struttura il movimento d'oggettivazione come una storia che
giustifica in se stessa il ritorno verso la natura. Le tensione che
domina dunque la fenomenologia genetica non è più quella dei due a
priori oggettivi, ma piuttosto quella che mette in rapporto natura e
storia. Ora, questa tensione segna, a dire il vero, la descrizione
della presa es-plicitante stessa, vale a dire la comprensione della
relazione tra tutto e parti. Cosa che appare chiaramente quando
Husserl tenta di definire il sostrato assoluto. Questo qui, in quanto
oggetto individuale, è compreso secondo la possibilità di coglierlo
immediatamente, senza es-plicazione preliminare. Ma il par 29 di
Esperienza
e Giudizio sottolinea
una
nuova apprensione del concetto di sostrato assoluto.
In effetti il mondo stesso appare come un sostrato assoluto: «ma il
mondo è in questa prospettiva un sostrato assoluto, nel senso che in
lui vi è tutto, e che lui stesso non è “in qualche cosa”, non è
più una unità relativa in una pluralità avvolgente». Così
l'assolutezza del sostrato come oggetto individuale finito, iscritto
nel mondo, si trova “relativizzata” e questo primo strato
assoluto perde, da questo punto di vista, il suo carattere di
indipendenza:
ciò
implica che tutto ciò che è mondano, sia come unità sia come
pluralità reali [real],
è in fin dei conti dipendente; solo il mondo è indipendente, solo
esso è il sostrato assoluto nel senso stretto dell'indipendenza
assoluta; la sua sussistenza non è dello stesso ordine di quella di
un sostrato finito che sussiste in relazione a circostanze che gli
sono estranee [16].
Il
sostrato assoluto nel primo senso diviene quindi dipendente a causa
della sua iscrizione nell'orizzonte del mondo da cui esso si distacca
per venire a sollecitare affettivamente l'interesse della coscienza
ricettiva. Il tutto finito si vede così lui stesso radicato in una
genealogia più profonda. Ora, in questo stesso paragrafo, Husserl
introduce anche un concetto più ampio di sostrato assoluto,
evocando, come ciò che appare all'altra estremità dello sviluppo
dell'appercezione intenzionale, il sostrato assoluto che «sarebbe
quello del qualche cosa completamente indeterminato dal punto di
vista logico, del “questo qua” individuale, dell'ultimo sostrato
reico [17] di ogni attività logica» [18]
– allorché tuttavia l'analisi di questo sostrato logicamente
ultimo, e dunque sprovvisto di contenuto materiale, ritorna alla
sezione consacrata al pensiero predicativo. Il sostrato assoluto
individuale classico, nel ruolo di intero che esso gioca riguardo
alle parti che sono le determinazioni indipendenti e dipendenti, è
preso in una tensione genealogica-teleologica che lo sorpassa e che
conduce il mondo alla sua formalizzazione. La III
Ricerca Logica
d'altronde evocava già, nel suo primo capitolo, questa tensione tra
il tutto del fenomeno (ma che non è ancora chiamato mondo o
orizzonte) e la prospettiva della teoria strettamente formale del
tutto e delle parti (come testimoniato dall'importanza accordata al
secondo capitolo). Ma le Ricerche
Logiche
non potevano né dovevano andare oltre in questa direzione, poiché
esse non perseguivano un'analisi genetica e non disponevano in alcun
modo di uno studio sufficientemente approfondito dell'a priori
soggettivo.
Ma
questa tensione, nella quale si iscrive il rapporto materiale tra
intero e parti, deve portare il segno di questa scrittura della
genesi a partire dal telos.
Pertanto bisogna pensare, per riprendere i termini di Souche-Dagues,
che «le strutture dell'es-plicazione possono fondare la possibilità
della predicazione solo perché esse le prefigurano», vale a dire,
per completare l'osservazione di Souche-Dagues, solo perché esse si
rivelano a una coscienza fenomenologica che si rigira,
che ritorna, dalla predicazione e dalle forme che l'animano, verso
questa esperienza ante-predicativa che essa potrà infine
comprendere. Così bisogna pensare che la legalità materiale del
rapporto mereologico non può essere portato alla luce e riconosciuto
che attraverso una coscienza che è sempre al di là, vale a dire che
possiede sempre già una comprensione delle legalità formali più
universali. Senza alcun dubbio bisogna avere le forme pure che
raccordano le parti all'intero, le quali reggono anche la
predicazione, per potere comprendere una legalità materiale. È
proprio perché la coscienza, con la sua tendenza all'oggettivazione,
mira teleologicamente al mondo delle forme che può esservi, per
questa stessa coscienza, il riconoscimento di un a priori materiale.
La teleologia, ritornando riflessivamente sui suoi passi, ripiega in
qualche modo il formale sul materiale e, va detto, in tal modo lo
completa.
La
distinzione dei due a priori oggettivi doveva restare una distinzione
cardinale della fenomenologia nascente, scrutante l'intenzionalità
nel suo polo oggettivo. Tale è l'acquisizione necessaria e non
oltrepassabile della III
Ricerca Logica.
Ma questa lasciava aperta la prospettiva d'una riarticolazione che
tuttavia non poteva realizzarsi direttamente nel polo oggettivo
dell'intenzionalità, col rischio senza dubbio di pervenire a una
confusione dei due a priori. Se vi è articolazione, essa è
indiretta dal punto di vista dell'oggettività stessa, poiché si
realizza nell'emergenza d'un'altra tensione, quella che lega
genealogia e teleologia, e ultimamente la natura e la storia, nella
legalità dell'a priori soggettivo. È insomma la genesi delle
coscienza sempre già in anticipo su se stessa lungo il cammino d'una
oggettivazione superiore che reintegra nella sua organizzazione
soggettiva continua i due mondi legali dell'oggettività.
1 MC, p. 101.
2 EG, § 21.
3
EG, p. 120-121.
15 Ivi, p. 149.
17 Réique.
18 EG, § 29.