Già pubblicato su http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/06/27/cosi-incomincio-la-notte-delluomo-che-nessuna-storia-puo-raccontare6638.html
Guido Ceronetti e Danton |
Meditabile, circa l'inizio della Grande Guerra, un pensiero di Johan Huizinga
in Lo scempio del mondo , che di quella che tuttora, tanto per
definire, è detta Belle Époque, frantuma l'essenza: «... la povera
Europa si avviava verso la prima guerra mondiale come un'automobile
sgangherata in mano di un conducente ubriaco per una strada tutta
buche e cunette ». Il conducente ubriaco erano i potenti di allora, i
grandi coronati, e dietro di loro i predicanti intellettuali più
influenti, Kaiser, Zar, D'Annunzio, Maurras, Marinetti... Ad un certo
punto di quella strada tutta buche si trova un giovane bosniaco imbevuto
di idee estremiste, Gavrilo Princip, che con due pistolettate contro
l'arciduca erede della corona asburgica e la moglie, in visita di Stato
a Sarajevo, mette a nudo senza affatto pensarci una inimmaginata
degenerazione spirituale della civiltà e della figura umana.
Era
cento anni fa, il 28 di giugno, e il Tempo, da allora, si è messo a
correre correre, secoli sembrano passati — ma quella guerra è davvero
finita? Per la storiografia materialista finisce l'8 maggio 1945; un
filosofo fa bene a dubitarne. Anzi a negarlo. Come non è cominciata il
28 giugno 1914, la parola Fine non ce la metterei. L'automobile
sgangherata non ha terminato la sua corsa, e al conducente ubriaco è
subentrato uno senza volto, la corsa prosegue per tutte le strade del
mondo.
Il disfacimento dell'impero danubiano non fu soltanto una
decisione punitiva di Versailles perfettamente priva di saggezza: una
brama di dissolvimento agiva nella Vienna drogata meravigliosamente
dalla musica e dalla bellezza della Secession. Commuove percorrerne
gli alfabeti, le supreme visioni erotiche: il grembo del baratro era là,
e subito fin dalla dichiarazione di guerra alla Serbia, ingoiò tutto.
L'Italia, un anno dopo, credette di far la guerra a un esercito
agguerritissimo; in realtà quel che spietatamente lo reggeva non era più
che un fantasma.
Già nel 1916, quando noi ci affannavamo per
prendere Gorizia, ne fu consapevole l'imperatore Carlo; ma tutto,
ormai, era perduto.
Johan Huizinga |
Non si indagano che fatti, fatti... Le
analisi psicologiche trattano perlopiù del morale delle truppe, dei
comportamenti al fronte, del ritorno a casa. La carneficina non
riguarda soltanto i corpi materiali dei caduti. L'Europa perdette una
quantità incalcolabile di sostanza virile. Uno psicanalista potrebbe
vedere nella trincea una vagina con denti di tigre, che attira virilità
per maciullarla. Il consumo spermatico nei sospirati bordelli militari
è incalcolabilmente sorpassato dalla attenzione spossatrice del Nemico
di fronte, di là dalla selva oscura di una Terra di Nessuno infestata
da spiriti maligni, col dito sulle mitragliatrici. Quel che ne restava,
poco più di venti anni dopo, viene liquidato in cinque anni. La
successiva lunga pace, in cui Marte si nasconde dietro la maschera
neutra dell'Economia, si caratterizza per la snervatezza dell' homo
pacificus e l'avanzata, su tutto il fronte dell'esistenza, del potere
matriarcale. Un verso di Apollinaire, combattente in una batteria di
artiglieri, è di una pregnanza infinita della realtà in ombra della
guerra in cui il segno maschile è andato in pezzi, quinto (segreto) dei
quattro grandi Imperi dissolti: Notte di uomini soltanto . È una
notte di vigilia di un assalto e grida come una donna sopraparto,
assorbendo nel lamento dei materiali da sparo anche la pena estrema
della femminilità esclusa. Verso stupefacente, la verità profonda della
guerra di Quattordici, che non è finita ieri né finirà domani.
Già. Il quinto Impero, che ha continuato a dissolversi negli anni. La
notte degli uomini non avrà più fine, come quella guerra. Il più grande
romanzo di un testimone, in lingua tedesca, All'Ovest niente di nuovo ,
capolavoro assoluto e inuguagliato, erutta di tutta la smisurata
sofferenza di quelle nuit des hommes . In Remarque non c'è che questo,
la sofferenza di sette liceali partiti volontari, di cui non
sopravvivrà neppure l'Io narrante, caduto poco prima dell'armistizio.
In Addio alle armi, di Hemingway, in un insopportabile lezzo di
alcolici trincati dall'autore, le donne compaiono, amanti di retrovia,
sussulti di giovinezza; ma è più che mai "notte di uomini soltanto"
anche negli sfoghi erotici dei permessi. Un poilu di Barbusse in
licenza a Parigi, vedendo tante donne sole in giro, osserva soddisfatto:
«Bene, ci sono chiappe»: visto e sentito così l'essere umano da
desiderare diventa equipaggiamento militare, materiale- chiappe,
munizioni di carne.
Il miracolo della resistenza francese alle
tremende offensive tedesche (Marna, Verdun), comandi discutibili, è un
mistero spirituale, come Léon Bloy si esaltava a vederlo. Perché le
classi lavoratrici in uniforme erano ancora quelle dell' Assommoir,
infradiciate d'alcool, più stregate dal vino (detto "il latte
dell'operaio") che da chiappe di bellezza. Nella canzone più popolare
del fronte occidentale, la Madelon, il suo lavoro di donna emblematica
dei combattenti, è esclusivamente di "versare da bere". La salvezza da
dove sarà mai venuta? Dai decreti del Fato, più forti di ogni Madonna?
Dai litri e litri di "quello buono" di certo no. Eppure i formidabili
corpi d'armata del Kaiser arretrarono.
Henri Barbusse |
Nel 1917, anno di tutti i
presagi e le profezie, quarto da Sarajevo, i combattenti sono sfiniti,
cedono, perdono disciplina, si ribellano; il vino, il ruhm, il
cioccolato sono impotenti a rianimare delle povere brache piene, di
dissenterici cronici per cibo via via più scarso e di scarto. Serpeggia
la sensazione, specie nel campo inglese, che la guerra si trascinerà
all'infinito, che i vecchi e i nuovi combattenti s'incontreranno tra
vent'anni sulle medesime posizioni per obbedire da automi agli stessi
ordini di un attacco over the top, in una desolazione lunare, mentre
dall'est la propaganda bolscevica sussurrava per via subliminale e
oratoria: «Mollate il fucile, mollate tutto, sparate sugli ufficiali,
revolùtzia, revolùtzia...». No, se devo esprimere un mio succulento
pensiero, la Grande Guerra non è finita. Ma per comprendere questo la
pura storiografia dei fatti non serve che a rievocare e a fare racconto.
Ai cimiteri di guerra sparsi in tutta Europa, in qualsiasi lingua
siano scritti quei nomi, fate pellegrinaggi, portate fiori e fiori e
fiori. E là, piangete per l'uomo.
(G. Ceronetti, La Repubblica 27-06-2014)