T. Pericoli, Gadda e Contini |
Molteplici,
ma piuttosto omogenee, sono all'interno della produzione gaddiana le
occorrenze di un termine che in sé condensa e sintetizza con
particolare forza esplicativa la deforme gnoseologia del grande
narratore milanese. /Euresi/ è infatti conio tutto gaddiano –
ottenuto forse da un calco su /teoresi/ o lemmi affini – e ricorre
piuttosto spesso soprattutto nei due testi in cui l'autore del
Pasticciaccio
ha profuso maggiormente il suo sforzo teoretico, ovvero La
meditazione milanese [1]
– in cui essa è uno dei principali nuclei teorici – e I
viaggi, la morte [2].
Ma
che cosa deve intendersi per /euresi/ e perché il termine torna,
quasi in modo compulsivo sotto la penna di Gadda, ripresentandosi
all'attenzione dello scrittore nell'arco di circa trent'anni? Molto
probabilmente ciò accade perché /euresi/ contiene in sé quel denso
nodo semantico, il quale si struttura secondo la complessa
Weltanschauung
gaddiana in quei paradigmi binari ad
articolazione multipla
che, sulla base dei raffinati studi di Federico Bertoni,
costituiscono uno degli elementi portanti di tutta la poetica
dell'ingegnere. Tralasciando per ora uno spoglio comparativo
dettagliato di tutte le singole occorrenze, ci limiteremo qui a
tentare di spiegare che cosa volesse indicare Gadda con quel termine,
mostrando in ultimo quanto la pregnanza dell'euresi sia
incontrovertibile e vitale in seno al tutta la sua produzione.
Per
/euresi/ dunque deve innanzitutto intendersi uno scandaglio multiplo
lanciato nella sismica incandescenza del reale da una mente espansa
fino al limite della propria dissoluzione. Non si tratta di una
semplice ricerca, ma di una indagine condotta per effrazioni
deliberate delle stesse ipotesi di lavoro che orientano e dirigono
detta indagine, una ricognizione tanto pedissequa da convertirsi
sempre in brancolamento, il quale dunque intercetta puntualmente nel
torbido (ri)presentarsi del dato sintomi sparsi ma inestirpabili
della propria insufficienza metodologica. L'euresi nel suo indefesso
procedere da subito viene a comporsi di signa
controversi, come affetta da una indefinita corruzione che tocca
l'idea stessa di verità. In essa è possibile ravvisare i lineamenti
alieni di una isteria conoscitiva in cui il virus del sospetto, del
dubbio, della ossessione inquisitoria non trova pace se non nel
deperimento stesso di quegli elementi, nella morte dunque, cessazione
assoluta e completa, intesa – sopratutto nella Meditazione
– come il disgregarsi di un sistema con relativa liberazione delle
singole particole: «nel
progresso del conoscere il dato si decompone, «altri dati sorgono
dai neri cubi dell'ombra e quelli da cui siam partiti non hanno più
senso, non 'esistono più'» [3]. È
vero, durante l'euresi si vaglia, i controlla, si verifica, si
seleziona e analizza, si suppone e si progetta; ma per essa risolvere
significa dissolvere: un rete logora di inferenze e deduzioni
s'intesse, quasi per per spinta endogena, in un gioco di raccordi e
accostamenti, confronti e distinzioni capillari, i quali conducono a
squadrare la realtà in costrutti esplicativi sempre più penetranti.
Ma
l'euresi ha una deficienza congenita: la sua sottile pragmatica non
può essere disgiunta da una messa in campo risoluta della sua
pervicace carica anfibolica. Ogni costrutto da essa partorito si
biforca in una divaricazione crescente di letture e vedute di cui
l'una è sempre il verso dell'altra. Gadda su questo è chiarissimo:
conoscere
è deformare […]. Io penso al conoscere come a una perenne
deformazione del reale, introducente nuovi rapporti e conferente
nuova fisionomia agli idoli che talora dissolve e annichila [4].
La
realtà, così severamente sistematizzata, diventa percorribile
secondo le plurime direzioni di una matrice (para)logica, la quale
denuncia da subito la intrinseca finzionalità di quella costruzione
che la rende possibile e la fa credere attendibile, proprio perché
il fatto che sia possibile nel suo ruolo di Ersatz
non significa che essa sia plausibile nei suoi valori prettamente
esplicativo-dimostrativi. Ciò fa sì che il mondo stesso venga a
trasformarsi in una successione di distillati razionali, in seno ai
quali le linee di congruenza proiettive con il materiale bruto da cui
quelli derivano sono altamente inattendibili, reciprocamente
collidenti e esclusivi, del tutto difformi rispetto alla cosa che
dovrebbero lasciar vedere. L'euresi – la
viva e presente e deformantesi euresi
[5] – si comporta come una tipologia anomala di equazione
lavoisierana: è cioè un'equazione finita ma infinitamente messa in
crisi dall'irrompere continuo in essa di incognite, le quali doppiano
gli esiti positivi e costruttivi della ricerca con un disegno
simmetrico e inverso a questi, il quale, posto su di un ipotetico
piano cartesiano, occuperebbe unicamente i quadranti contrassegnati
da valori negativi. L'euresi pertanto si dispiega sempre su di un
duplice livello, attraverso una biforcazione netta seppur sotterranea
di aspetti contraddittori; ma è proprio di queste contraddizioni che
essa si nutre e di cui paradossalmente si sostanzia:
il
processo euristico è dunque l'autodeformazione del reale […] e
sembra non possedere modelli o temi teoretici finali, non aver fini
in senso teoretico stretto (chiamate finali) pur 'andando verso il
diverso'. Potremo chiamare questo diverso il 'vieppiù differenziato'
[…] sebbene esista anche, come ho lumeggiato, il venir meno, il
rilassarsi dei sistemi di relazioni: (cioè il deformarsi in
regresso) [6].
Da
una parte essa è costituita dalla linea della orchestrazione
sistemica, della ricognizione ad ampio raggio, della organizzazione
centripeta e amalgamante, grazie alla quale la realtà è oggetto e
risultato di una messa in forma metodologicamente guidata e sorretta
da parametri logici sempre più serrati e tenaci; dall'altra parte
però si attiva inevitabilmente, quasi per un contraccolpo
inassimilabile, una deriva accerchiante di crolli e smottamenti,
collassi e infrazioni, una sorta di infallibile e puntiforme chimica
del caos, che mette in agitazione non tanto il materiale sottoposto a
categorizzazione, ma i quadri e i parametri stessi sottesi alla
classificazione:
la
stessa ragione, che sembra aver caratteri di fissità e certezza è
una euresi [caratterizzata] dal permanere di un continuo dibattito
tra l'acquisito e l'acquisendo, tra il nucleato n
e
il nuclearsi di n+1
[7].
C. E. Gadda |
Il
disordine dilaga in forza di un sottile e irrefrenabile soffio
contagioso e ciò accade perché lo stesso pensiero razionalizzante
si scopre parte di quell'inaggirabile e inarginabile informitas
dalla quale
sembrava essersi distaccato – quasi mimando una trazione
anassimandrea – con la pretesa di insufflarvi delle chirurgiche
dorsali d'ordine e rigore. Ma alla luce di queste analisi la parola,
il linguaggio, la scrittura che cosa sono? Lignes
d'écumes,
verrebbe da dire, fragili tratteggi nella cui proteiforme volatilità
il mondo deposita il suo aspetto di deforme punto di contatto tra il
disordine intestino che affetta ogni cosa e i fallibili principi di
organizzazione integrale che il concetto si sforza di proiettare
sulla scabra livrea del reale come un sudario lacero. Sotto la dura
scorza del transeunte la forma è un arresto inane se non mortifero,
una pausa sofferta di esiziale travaglio, l'annosa deriva di un
procedere inconcluso per degradazioni, nel cui aperto circolo una
raggiera di significati intensamente metamorfosabili l'uno nell'altro
si amplia fino a trasformarsi essa stessa nel punto di depressione
ciclonica
dove la parola e la realtà vengono a corrispondersi quasi senza
resto alcuno, verso una sorta di rumore bianco, nei cui entropici ma
completi patterns di frequenze tutte le possibilità combinatorie
sono già date per attuate, seppur secondo i parametri cognitivi di
una illimitata imponderabilità.
/Euresi/
si profila quindi come una potentissima e misteriosa vox
media che
non ha tanto il compito di sanzionare le fallacie della ragione,
quanto piuttosto di comportarsi come un lacunoso iperonimo sotto cui
lasciar intravedere la pulsione costrittiva che il pensiero logico –
o, almeno, un certo pensiero logico – scarica nelle fibre reattive
del mondo. Essa è una innervazione intrusiva ma omogeneizzante, la
quale però vive unicamente grazie ad una antinomia intestina: per
valere nelle sue pragmatiche esplicative, l'euresi deve di volta in
volta trovare conferme su di un campo di applicazione sempre più
vasto; tuttavia, man mano che questo campo viene percorso, le
capacità di tenuta e di coerenza dell'euresi si sfaldano, si
riducono drasticamente, mostrano faglie e cedimenti diffusi. In tal
modo la sua validità è intatta solo finché ha un applicazione
circoscritta se non addirittura puntiforme; nel momento in cui la sua
portata diventa ad ampio raggio, l'euresi perde progressivamente
qualsiasi efficacia predicativa:
io
distinguo un termine dialettico che chiamo più propriamente confine
o separazione e un termine periferico […] che chiamo più
propriamente limite. Il primo [...] è un'essenza o relazione finita,
l'altro un'essenza o relazione infinitesimale o evanescente [8].
Dalla
informazione alla deformazione il passo è breve, ma catastrofico. È
come se nel mondo operasse con fredda precisione una inestirpabile
prelazione dell'elementare, del dato bruto, primario, inorganizzato
rispetto a tutte le forme compiute che il soggetto raziocinante mette
in campo. L'euresi si comporta come un argine retrattile, intorno al
quale un'energia pura dispiega le sue potenzialità, spesso
investendo e forzando selvaggiamente quell'argine, travolgendolo e
spezzandolo in modo da liberare un complesso amorfo di materiale
fertile per nuove produzioni. Essa districa da questo tormentato
contesto una serie di causali che vengono messe in squadra per
tentare una esplicazione sempre più ravvicinata dei fatti; ma le
causali hanno consistenza granulosa, finiscono sempre con lo
sfarinarsi in componenti minute, oppure si solidificano in
configurazioni deformi, prossime al monstrum
logico, qualcosa che appartiene alla malata devianza della realtà.
L'euresi
va allora pensata come una scomposta flessione conoscitiva ingorgata
da una eterogenea ed eteroclita vegetazione di fatti, principi, dati,
deduzioni e costrutti che nel loro ininterrotto raccordarsi e
coagularsi sempre da capo prospettano stati di mondo affetti da una
intrinseca deperibilità epistemica e dunque da una elevatissima
inaffidabilità ermeneutica.
Nel
Pasticciaccio
vi è soprattutto un passo che illumina in modo esemplare questo
aspetto: verso la fine del romanzo, quando ormai il povero Ingravallo
le ha tentate tutte per venire a capo del “fattaccio”, Gadda
descrive con la solita minuzia il tetto di una casa ove le sobrie
geometrie dell'ingegno costruttivo messo in opera si trovano ad
essere progressivamente fagocitate e sopraffatte dagli effetti di uno
sfacelo minuto, generalizzato e strisciante dal quale non c'è
riparo:
stillava una qualche
goccia, alla subita caduta iridandosi, dagli embrici divenuto neri
negli anni: e precipitava pesantemente come fosse stato mercurio, a
ferire ancora, a penetrare, torno torno, la compattezza bagnata della
terra […]. Troppo lenti i pioventi, o informi, parevano discendere
a onda: s'erano ammollati delle piogge e poi di nuovo cotti e quasi
enfiati nell'ardore […]. A idea, sotto il terroso insistere di
quella copertura avrebbe dovuto cedere, un bel giorno, e sfasciarsi e
stiantare in un subisso tutto il fradiciume dell'ordito: o volar via
tutto il tetto, anzi, a una soffiata di libeccio, come un cenciaccio
non appena la ha coscritto la raffica. L'ante di legno, a le
finestrine, una a chiudere, una a sbattere: senza pittura che pur
fosse e di già putride o di già scheggiate nel tempo, nel vaporare
eguale degli anni. In luogo di un vetro carta unta, a un telaio, o un
rugginoso ritaglio di bandone [9].
Anche
questi stati di mondo crepuscolari, ultimativi, vengono però attentamente mappati e codificati da una febbrile attivazione
linguistica che tenta di ricalcarne il diffuso nodo combinatorio
attraverso una discesa in quelle forme provvisorie che li
sostanziano. Ecco allora che la corposità e l'impetuosità
telluriche di un reale ipersignificante vengono ad essere tradotte in
una sorta di immonda gestazione transverbale di significati, i quali
ogni volta trasgrediscono la supposta misura logica rinvenibile nel
semplice fatto descritto, degenerando in una rovente dynamis
irradiante una intricata coazione di forze esterne – prelevate dal
sistema-ambiente – e tensioni psichiche interne, prolungantisi le
une nelle altre in un contrastato unisono fatto di
immagini e di figurazioni ossedenti
[10], come lo stesso Gadda fa dire, in apertura del Pasticciaccio,
ad un meditabondo Ingravallo, immediatamente dopo il furto ai danni
della Menegazzi.
Quanto
detto finora però riguarda soltanto un piano del problema e del
quadro para-gnoseologico messo a punto da Gadda. L'euresi fino a
questo punto è stata analizzata unicamente a
parte objecti,
ovvero tenendo presente la sorda riluttanza delle cose ad essere
forzatamente incardinate in una matrice teorica di controllo ed
esplicazione, la quale, per quanto efficace e penetrante possa
essere, si rivela sempre sabotata ab
ovo da
un'autocorrosiva teleologia dello scacco. Scaturigine e culmine del
conoscere si trovano quindi allineate secondo una consonanza sottile
ma non sempre evidente, cioè quasi mai rivelabile sulla base di
quell'irreparabile deperibilità delle singole ipotesi esplicative
che scandiscono capillarmente tutto il discorso gaddiano sulla
euresi. Scaturigine e culmine dell'analisi conflagrano dal e nel
caos, in un caos pervicace e insinuante, in un caos che non va
pensato come un crollo improvviso delle varie architetture teoriche
messe in opera, ma come un tenue e fisiologico logorio delle loro
fondamenta, un morbo ignoto e inestirpabile che aggredisce ogni
struttura razionale – o forse è addirittura generato da quelle
stesse strutture –, simile ad un inestirpabile tarlo il quale scavi
dall'interno i concetti utilizzati per (tentare di) spiegare il
mondo, in modo tale che questi finiscono sempre ad essere lacunosi,
insufficienti, debilitati rispetto al compito che sono chiamati a
svolgere.
L'estremo
e continuo sforzo di topografia cognitiva, proteso verso la
determinazione e la chiarificazione sempre più precise e
totalizzanti dei punti rimasti ignoti, si muove dunque su quella che
Gadda più volte nel corso di MM chiama palude
deglutitrice
[11], alludendo ad un immenso terreno mobile e cedevole, labile e
instabile, in perenne trasformazione – e forse evoluzione, ma
questo non è dato saperlo, dato che il concetto di /evoluzione/ è
carico di implicazioni finalistiche del tutto improprie alle
dinamiche intestine della materia bruta – e instancabilmente
destinato a sostanziarsi in una sorta di hors-lieu
alogico, dal
quale gli schemi di pregnanza razionale approntati dal soggetto
conoscente si trovano puntualmente ad essere fagocitati, svanendo
nell'esuberante turbinio di un flusso fenomenico inarginabile e
tempestoso. Alterazioni disordinate, incongruenze improvvise e
ramificazioni sfocate sono ciò con cui il pensiero è chiamato a
rapportarsi, fibre corrotte e corruttrici di una grama e palpebrante
sostanza, in seno alla quale la conoscenza dovrebbe riuscire a
internucleare
molteplici raggruppamenti allo scopo – col rischio, sarebbe più
giusto dire – di impoverirla del suo fisiologico e eruttivo impasto
amorfo.
Sotto
questo punto di vista la MM è piuttosto eloquente e non lascia adito
a dubbi su quale sia la conclusione di Gadda: la materia si compone
delle vibrazioni infinitesime dell'essere, d'una pulsante
molteplicità irretita in se stessa di causali libere e
interconnesse, all'interno delle quali il pensiero ritaglia delle
costruzioni – che l'autore chiama in più occasioni modelli
[12],
attingendo ancora una volta al lessico proprio dell'ingegneria –
attraverso il rilevamento di complessi di relazioni mobili ma
rispondenti a parametri di permutazione fissi.
Ma
di fronte a tutto ciò che ne è del soggetto? O, in altri termini,
ciò che abbiamo deciso di chiamare qui trascendenza
del caos in
che modo opera a parte subjecti?
La MM a questo punto deve essere abbandonata, poiché in essa in è
possibile, a nostro giudizio, reperire contributi atti a sviscerare
questo nuovo aspetto del problema. Certo, in essa vi sono delle
osservazioni, le quali in parte consentono quanto meno di affermare
che Gadda aveva chiara la necessità di affrontare questo secondo
plesso della questione, ma in effetti la MM rimane un'opera
consapevolmente sbilanciata sulla messa a fuoco «di
un metodo [che] sorregga e quasi preceda la permeante analisi»
[13]. Possiamo dire che il soggetto di quest'opera del '29 è una
sorta di distillato leibniziano non tematizzato ulteriormente, un
polo di trasparenti strutture categoriali sopraffatto però
continuamente da una materia insubordinata, riottosa, refrattaria ad
ogni sistematizzazione para-razionale, in una scomposta sintassi di
agglutinazioni feroci da cui la riflessione può sperare di salvarsi
solo derogando in misura sempre maggiore ai propri postulati di
rigore, incontrovertibilità e formalizzazione totalizzante imposti
al reale:
Scolio.
Poiché nel reale noi non vediamo e non immaginiamo se non relazioni,
se vogliamo tener fede alle concezioni nostre, dobbiamo negare che
esista un mero semplice. Esso è il non-essere, il buio, il nulla. La
coscienza, anche nelle sue forme elementari, ci appare quindi come
sistematrice o relatrice o riferitrice. L'atto della coscienza è un
atto di polarizzazione (almeno); è una crisi euristica o giudizio
euristico contrapponente alcunché ad alcunché, anche sé a sé
[14].
T. Pericoli, L'ingegner G. |
È
necessario ora quindi passare all'altra opera di Gadda citata in
apertura, I
viaggi, la morte.
Rispetto alla MM quest'ultimo testo ha una fisionomia molto diversa
essendo una raccolta di saggi, articoli, recensioni scritti nell'arco
di quasi trent'anni; esso è suddiviso in tre parti – nella seconda
troviamo tra l'altro il saggio che dà il titolo a tutta la raccolta
– e molti degli interventi presenti in esso possono essere letti
tranquillamente come chiose, rettifiche, integrazioni, corollari e
approfondimenti a quella particolarissima speculazione in
itinere
che l'autore aveva iniziato con la MM. Anche qui compare spesso il
termine chiave di /euresi/, ma in VM esso si carica di una sfumatura
nuova, inedita rispetto all'opera precedente; ora l'euresi è colta
anche e soprattutto nel suo versante psichico-intellettivo, sebbene
essa non goda qui di una trattazione sistematica e puntuale come era
accaduto nell'opera del '29. Rapsodica, episodica, estemporanea, non
esposta secondo una linea ragionativa solidamente unitaria, ma colta
attraverso il venire in emersione di un reticolo di casi elettivi e
circostanziati, la prassi argomentativa scelta da Gadda si muove per
sondaggi impervi e irregolari, difficilmente unificabili pertanto in
un disegno teorico centrato su un nucleo di posizioni salde e
rigorose. Se il mondo è per Gadda quindi una endogena sustruzione di
stadi transitori che si sfarinano in configurazioni sempre nuove,
seppur sempre parziali, incomplete, caduche, l'io ha più o meno la
stessa fisiologia mercuriale, con la differenza – o forse con
l'aggravante – che quest'ultimo dovrebbe essere in grado di
rendere ragione di sé. Ma qui Gadda non è chiarissimo, anzi rimane
volutamente equivoco se non elusivo; il soggetto leibniziano della MM
è scomparso, si è dissolto in una congerie mutevole di forme
incerte e evanescenti, quasi misteriose schiume psichiche in cui il
diadema dell'io si delinea come un cumulo di relazioni prossime però
già alla disgregazione:
dentro i limiti
della sua facultà mentale, e d'uno schematizzante linguaggio, […]
principia, la tenera mònade [il soggetto, appunto, colto nel suo
stadio larvale], ad annodare i fili delle sue relazioni con il mondo:
e nel mondo è compreso l'io, il sé, veduto come chi dicesse dal di
fuori. Il groppo, il centro, il nodo-ragno d'un siffatto ragnatelo di
riferimenti infiniti, principia percepire e tradurre ad atti, se pur
annaspando nello incerto, la sua funzione poetica [15].
Siamo
dinanzi ad un ego sorpreso nel suo interminato sfaccettarsi,
gocciolante ipotesi inattuate e al tempo stesso granulare,
astrutturale specchio informe di un mondo vaporante sempre verso il
fondo remoto di un'origine – o di una fine, termini
emblematicamente interscambiabili – ove tutte le conseguenze degli
sviluppi possibili sono livellate da una ruminazione biologica e
pre-organica, la quale rappresenta sia la ricchezza che lo scacco di
tutta la tellurica ontologia
e psicografia gaddiana. In tal senso anche il soggetto, come appena
visto, è un viluppo instabile di coordinazioni e scompensi,
complesse determinazioni e spastici impulsi destinati a perdersi
nella casuale vastità oceanica di un caos adirezionale, in cui
l'essere e la morte risuonano ironicamente con la stessa lugubre
nota. Il soggetto sembra qui una sorta di sotterraneo paesaggio
vegetale la cui cieca opulenza sia messa puntualmente in crisi ora
dallo sfacelo sempre traumatico delle proprie costruzioni ora dalla
densa orografia di cognizioni, da cui sorge la logica incapsulatrice
vista all'opera nella MM. Esso nasce tra queste due possibilità e
tendenze come un tertius,
attore della seconda e proiezione della prima, grigio alone cerebrale
ove una «laborante
fisiologia [si libera quale] ineluttabile somma di coazioni
biopsichiche» [16]. Il pensiero va inteso in VM come un grappolo
vivace di frammenti caleidoscopici, in cui la chiarezza temporanea
delle definizioni logiche brilla quasi come un abbaglio, come un
sortilegio capzioso, mentre il dilaniato contorno dell'io assume
sempre più i connotati di un'abnorme, apocrifa e parassitaria
distillazione di forze e tensioni ben presto riassorbite
nell'umbratile fondo pre-personale da cui l'individuo era emerso,
profilandosi come una fissazione
tolemaica
[17] di elementi spuri:
l'io
rappresentatore-creatore veduto nella sua saldezza, e nella fissità
centrica che è propria di quel cavicchio che egli è, circonfuso
d'un tempo stolido e inerte, a versar luce nella tenebra come
riflettore nelle paure della notte, è idolo tarmato, per me. Codesto
bambolotto della credulità tolemaica, in ogni modo, non ha nulla di
comune con la mia identità di ferito, di smarrito, di povero, di
«dissociato noètico» [18].
C. E. Gadda |
Anche
applicata ai moti interni della coscienza umana, l'euresi rivela
quella duplice radice che già poco più sopra avevamo avuto modo di
evidenziare: da una parte essa risponde ad una propulsione
intrinsecamente progettuale-costruttiva; dall'altra però questa non
può distaccarsi da una penombra di residui e cascami che affliggono
le sue produzioni dall'interno, come possedendola spettralmente fino
all'auto-dissoluzione. L'euresi ha tratti schizoidi, è scissa in una
serie di procedure oppositive che in essa ora confliggono ora si
alternano come «i due diòscuri altalenanti sulla linea d'orizzonte,
che quando l'uno sorge l'altro sommerge» [19]. L'euresi, potremmo
dire avviandoci a chiudere, lavora in «quell'al di là ipologico
della fantasia pura e dell'aisthesis
pura»
[20], ove una dissociante mania traduce il pensiero e la materia,
l'ego e il mondo in un nervoso fiammeggiare di germinazioni che,
mentre si propongono di perpetuare l'attività finalistica
dell'essere, in realtà straziano non solo le deboli fibre della
creatura umana, ma della stessa realtà che questa aveva cercato di
plasmare credendo di ravvisarvi un'ossatura di coerenza e congruenza
a raggio più o meno lungo. Spasmo ed effrazione travagliano così
non solo la torbida geografia mentale dell'uomo, ma anche le lacunose
latitudini dell'essere, sfociando in entrambi i casi o in
sclerotizzazioni moleste e innaturali degli elementi fluidi in gioco,
nell'obliterazione forzosa del possente divenire del tutto, in una
vivisezione crudele ed effimera, o piuttosto in quel vivente polipaio
il cui estremo marasma ontologico rende ogni pretesa di comprensione
e penetrazione razionale solforoso
teorema
[21].
Inoltre,
come già visto per la MM ove tutte le fallacie gnoseologiche
finivano coll'essere incarnate in uso spastico della lingua, anche in
questo caso il linguaggio diventa il luogo specifico nel quale
cogliere con particolare lucidità tutte le insanabile aporie emerse
finora. In più punti di VM, Gadda analizza il (proprio) linguaggio,
prende in esame le proprie espressioni verbali mostrando come esse
rifuggano da ogni illusione
coerentista
proiettabile in un secondo momento sul soggetto:
le
frasi nostre, le nostre parole, sono dei momenti-pause (dei
pianerottoli di sosta) d'una fluenza (o d'una ascensione)
conoscitiva-espressiva. Durano quel che durano […]. Mutano di
significato col costume, col variare delle lune, con il lento o con
il rapido consumarsi del tempo: e mutano talora di valore, di peso.
La loro storia, che è la nostra, che è la pazza istoria degli
uomini, ci illustra i significati di ognuna […], le sfumature, le
minime variazioni di valore: in altri termini, il loro differenziale
semantico [22].
Non
sarà allora un caso che un elemento specifico della complessa
armatura linguistica nella quale uomo e mondo si trovano imbozzolati
sia preso di mira da uno dei personaggi più refrattari
all'incapulamento nelle formule di categorizzazione, tramite le quali
il pensiero tenta di incardinare la realtà in uno schema
totalizzante. In uno dei passi più noti de La
cognizione del dolore Don
Gonzalo Pirobutirro si scaglia in un impeto di incontenibile delirio
contro i pronomi personali, simboli vacui di una mistificazione
linguistica, nel cui viscido groviglio la parola dell'uomo quanto più
ostenti la goffa pretesa di indicare in modo univoco qualcosa di
reale, tanto più in realtà si rivela essere un coagulo di sabbie
sirtiche, il cui inestirpabile strabismo semantico fa del vocabolo un
vestigio poltiglioso
[23] ove si consuma il menzognero ristagno del pensiero stesso:
I pronomi! Sono i
pidocchi del pensiero. Quando il pensiero ha i pidocchi, si gratta
come tutti quelli che hanno i pidocchi...e nelle unghie, allora...ci
ritrova i pronomi: i pronomi di persona […]. Il solo fatto che noi
seguitiamo a proclamare...io, tu...con le nostre bocche
screanzate...con la nostra avarizia di stitici predestinati alla
putrescenza...io, tu...questo solo fatto...io, tu...denuncia la
bassezza della comune dialettica...e ne certifica della nostra
impotenza a predicar di nulla...dacché ignoriamo...il soggetto di
ogni proposizione possibile [24].
In
tal senso i pronomi svelano fino a qual punto sia possibile intendere
la lingua come il luogo d'un astratto e illimitato calcificarsi di
funzioni seccamente logiche, applicabili e sovrapponibili in modo
arbitrario a dimensioni d'essere che non ammettono designazioni
univoche, certe, definitive. Essi valgono quali operatori di una
sclerotizzazione semantica portata e termine tramite la chiusura
deformante d'ogni sistema verbale attorno alla cosa, sistema che
finisce col subentrare ad essa, scalzandola quasi dal mondo,
sostituendovisi e proponendosi al suo posto quale succedaneo
razionale che, alla prova dei fatti, si rivela essere un artefatto
sospetto e inficiato da innumerevoli fallacie.
Non
v'è linguaggio, sembra dire Gadda, che non sia menzognero; ma, di
contro, non v'è logica falsificante che non si tradisca nel e
attraverso il linguaggio. Bifronte dunque, al tempo stesso
farraginosamente adulterante il dato reale e chirurgicamente
smascherante, esso appare perverso e polimorfo, artefice di
claustrofobiche falsificazioni, ma anche luogo in cui la realtà
riesce ad erompere con tutta la sua rovente carica di irragionevole
verità. In tal senso allora il linguaggio gaddiano è un elemento
elettivamente euristico, dal momento che, se le analisi condotte fin
qui sono corrette, è proprio nelle sue pieghe ambigue e profonde che
la morfologia densamente antinomica e dualistica dell'euresi si
palesa con virulenta chiarezza:
per quanto riguarda
l'inconosciuto sistema esteriore, l'oscuro e totale e desiderabile
termine di riferimento supremo, come possiamo scorgervi deformazioni
se esso ci è ignoto? Ma la nostra fantasia […] viene
infaticabilmente plasmandolo secondo uno schema di percorrenza che
par quasi adombrare la necessità di una posizione antitetica al
dato, in quanto da presso e quasi grado a grado un sistema siffatto
si contrappone deformandosi alle stazioni o pause del dato
deformantesi [25].
NOTE
1.
C. E. Gadda, La meditazione milanese,
Einaudi, Torino, 1974. Da ora sempre abbreviato in MM, sia in nota
sia nel testo.
2.
C. E. Gadda, I viaggi, la morte,
Feltrinelli, Milano, 1967. Da ora sempre abbreviato in VM, sia in
nota sia nel testo.
3.
MM, p. 100.
4.
Ivi,
p. 99.
5.
Ivi,
p. 211.
6.
Ivi,
p. 225.
7.
Ivi,
p. 231-232.
8.
Ivi,
p. 110.
9.
C. E. Gadda, Quer pasticciaccio brutto
de via Merulana,
Garzanti, Milano, 2000, p. 250-251.
10.
Ivi,
p. 23.
11.
MM, p. 287.
12.
Ivi,
p. 90.
13.
Ivi,
p. 3.
14.
Ivi,
p. 273.
15.
VM, p. 219.
16.
Ivi,
p. 194.
17.
Ivi,
p. 222.
18.
Ivi,
p. 12.
19.
Ivi,
p. 196.
20.
Ivi,
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21,
Ivi,
p. 38.
22.
Ivi,
p. 18.
23.
Ivi,
p. 111.
24.
C. E. Gadda, La cognizione del dolore,
Einaudi, Torino, 1963, pp. 123-124.
25.
MM, p. 6.